Il mercato britannico: il 60 per cento delle imprese impreparato al regime doganale post-Brexit

Ad aprile e giugno 2021 scadranno le proroghe dell’attuale fase di transizione verso il nuovo regime, occorre attrezzarsi. Le maggiori difficoltà di adeguamento sono comunque sul fronte britannico, dove proprio in questi giorni a causa di difficoltà organizzative nelle dogane si riporta un crollo del 68% dell’export verso l’Unione Europea attraverso i porti dell’isola

MILANO. Almeno il 60% delle imprese italiane che inviano merci oltremanica non sono pronte per il nuovo regime doganale post Brexit, secondo l’osservatorio di Fedespedi, la Federazione nazionale delle Imprese di Spedizioni Internazionali. Anche perché la confusione sembra regnare sovrana soprattutto tra gli stessi operatori britannici con cui ci si interfaccia.

“Su 43.000 aziende italiane che esportano nel Regno Unito, circa 28.000 non sono ancora preparate a gestire le nuove procedure doganali: sono in genere realtà piccole che finora hanno operato solo nel mercato dell’Unione Europea con lavoratori spesso delle generazioni più giovani, quindi senza esperienza in materia di regole Incoterms del commercio internazionale”, afferma Manuel Scortegagna, presidente della commissione di studio di Fedespedi dedicata al servizio terrestre ed intermodale.

E siccome ad aprile e giugno 2021 scadranno le proroghe dell’attuale fase di transizione verso il nuovo regime, occorre attrezzarsi. Le maggiori difficoltà di adeguamento sono comunque sul fronte britannico, dove proprio in questi giorni a causa di difficoltà organizzative nelle dogane si riporta un crollo del 68% dell’export verso l’Unione Europea attraverso i porti dell’isola.

“C’è incertezza su come gli inglesi definiranno il sistema doganale. Sinora hanno avuto un approccio semplicistico, nei prossimi mesi ci saranno sicuramente degli aggiustamenti. Sulle merci importate si riscontra spesso per esempio il mancato adeguamento alle nuove formalità di emissione delle fatture e delle bollette di riferimento doganale.”.

Scortegagna guida Scortrans, operatore vicentino di spedizioni stradali, marittime e aeree internazionali con servizio di assistenza e magazzino doganale certificato AEO e filiali anche a Milano e Firenze, attivo da oltre 30 anni con clienti in vari settori del Centronord d’Italia (meccanico, tessile, auto, abbigliamento, concia, vivaistico). L’esperienza di Scortrans per il mese di gennaio conferma le complicazioni post Brexit sia in ambito doganale sia in ambito di logistica dei trasporti, soprattutto quelli stradali. Situazione aggravata anche dalle misure Covid di controllo sanitario tra Dover e Calais.

“Passa per Calais l’80% della merce del Sud Europa verso il Regno Unito, tra cui gran parte delle spedizioni dal Norditalia che verso la Gran Bretagna viaggiano soprattutto su camion. In media entrano nell’isola attraverso questo unico passaggio 7/8000 camion al giorno provenienti dal Sud Europa e dalla Francia. Con le nuove procedure il flusso è rallentato, perché ogni mezzo deve sostare per la lettura del Bar Code che autorizza l’ingresso”, spiega Scortegagna.

Sulla sponda inglese per chi esce dall’isola si aggiunge il controtest Covid con tampone presso l’aeroporto in disuso di Manston vicino a Dover. “Aumentano i costi e i tempi delle trasferte e sempre più autisti si lamentano di lungaggini e burocrazia Covid, un problema molto sentito dagli autotrasportatori, tant’è che oggi è più difficile trovarne di disponibili per le tratte britanniche”.

Le criticità post Brexit legate alla logistica e alla diversa e maggiore documentazione necessaria per le spedizioni a mezzo corriere, che fanno aumentare i tempi di arrivo e spedizione delle merci, sono confermate dalla Direzione Interregionale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Veneto e Friuli Venezia Giulia. A cui si aggiunge la necessità di corrispondere gli eventuali dazi sulle merci che non hanno origine preferenziale nell’Unione Europea e nel Regno Unito, una questione non ancora ben percepita da alcuni importatori ed esportatori.

L’Agenzia sottolinea notevoli incrementi delle richieste di attribuzione del codice EORI dalle aziende esportatrici del territorio veneto e da privati che effettuano acquisti dal Regno Unito. E l’aumento anche delle richieste di operatori economici per la qualifica di Esportatore Registrato (REX) per il Regno Unito e di autorizzazioni a operare presso luoghi approvati (sdoganamento in house).

I termini di resa Incoterms su cui il nuovo regime doganale impatta di più sono gli Exw Works e i Dap - Delivered at Place per export e import, gli Fca Free Carrier per export, e i Dpu - Delivered at Place Unoloaded per import. Tra le criticità riscontrate dall’Agenzia ci sono anche le mancate chiusure a destino dei documenti di transito T2: “In particolare la mancata chiusura dei movimenti di dicembre, relativi a merci pervenute a destino in gennaio, con la conseguente produzione di prove alternative agli uffici da parte degli operatori interessati.” Inoltre alcuni operatori nei primi giorni di gennaio hanno subito cancellazioni di ordini di spedizione nel trasporto groupage “in relazione alle difficoltà degli operatori inglesi, non del tutto preparati all’ondata di importazioni da gestire, seppur con le semplificazioni poste in atto dall’autorità doganale inglese”.

Insomma, slow work in progress per l’adeguamento post Brexit.

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