Il commento / Investimenti dall’estero, il rischio di stare ai margini
Mentre in Lombardia ed Emilia Romagna il 10% e il 17% dei nuovi investimenti provenienti dall'estero sono stati indirizzati verso funzioni direzionali o di sviluppo di innovazione, nel Veneto ci si ferma al 3%

Avere pochi investimenti diretti in uscita significa aver investito solo parzialmente in attività economiche (produttive e non) all'estero, contribuendo in questo modo a rendere le esportazioni la forma di internazionalizzazione più ricorrente per le imprese italiane. Guardando nello specifico al contesto nordestino, registriamo come le multinazionali con partecipazione straniera attive in Veneto siano circa 1.500 e impieghino 140 mila addetti.
Più in generale, le multinazionali italiane e straniere presenti in Veneto contribuiscono a circa il 70% del totale delle esportazioni regionali, per un valore di circa 55 miliardi di euro. In Friuli Venezia Giulia lo scenario non cambia, con aziende di grande rilievo come Danieli, Fincantieri ma anche Friulintagli e Roncadin a trainare le esportazioni regionali e la connettività globale del territorio.
Oltre al decisivo contributo alle esportazioni, le grandi imprese generano mediamente un valore aggiunto per addetto che doppia ampiamente quello creato dalle piccole imprese (77 mila euro versus 33 mila), confermando anche attraverso questo dato la loro importanza nella competitività del territorio. Tuttavia, oltre ad un'analisi quantitativa sul peso che le multinazionali esercitano all'interno di un'economia territoriale, è opportuno interrogarsi sul loro contributo qualitativo.
In altre parole, è doveroso interrogarsi sul tipo di attività che esercitano localmente. In questo senso, è particolarmente utile far riferimento all'analisi proposta dall'economista della London School Economics Riccardo Crescenzi, che propone un approfondimento sul tipo di attività condotto dalle multinazionali straniere in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna negli anni immediatamente successivi al Covid.
Ebbene, mentre in Lombardia ed Emilia Romagna il 10% e il 17% dei nuovi investimenti provenienti dall'estero sono stati indirizzati verso funzioni direzionali (headquarters) o di sviluppo di innovazione (Research & Development), nel contesto Veneto ci si ferma al 3%.
Allo stesso tempo, gli investimenti diretti in ingresso in Veneto hanno coinvolto largamente le funzioni produttive (59%), mentre in Lombardia ed Emilia Romagna le funzioni manifatturiere hanno attirato “solo” il 27% e il 30% dei nuovi investimenti. Cosa ci raccontano questi dati? Che le multinazionali straniere investono in Veneto principalmente per beneficiare delle competenze industriali presenti. Come ben sappiamo, tuttavia, le funzioni produttive rappresentano al tempo stesso le attività che contribuiscono in misura minore alla creazione di valore aggiunto lungo le catene globali del valore. Non è solo una questione di redditività, anche se certamente l'aspetto economico è centrale.
Un focus sulle funzioni produttive significa anche un minor contributo alla creazione di conoscenza complessa, elemento fondamentale per la generazione di innovazione e di nuove attività imprenditoriali nell'economia della conoscenza. Ben vengano gli Ide in entrata da parte di multinazionali straniere, a patto che portino con sé investimenti in funzioni intangibili e ad alto valore aggiunto (R&D, design, marketing, finanza, retail) e in grado di supportare il progresso economico dell'ecosistema locale. Catalizzare investimenti di questo tipo dovrebbe essere la priorità per qualsiasi territorio che disponga di una chiara visione. L'augurio è che il Nord Est possa presto entrare in questa categoria di territori.
* Trinity College Dublin
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