Effetto guerra Ucraina sull’export, dall’Armenia al Kirghizistan il Veneto conquista gli stati vicini alla Russia

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina si sono impennate nel 2023 le vendite delle imprese manifatturiere

Giorgio Barbieri
CADONI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - VISITA INTERPORTO PADOVA
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Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina le imprese manifatturiere del venete hanno registrato una vera e propria impennata delle esportazioni verso Paesi che non sono storicamente tra i primi partner commerciali dell’Italia o dell’Europa.

Nel secondo trimestre del 2023, messo a confronto con lo stesso periodo del 2022, accanto al fisiologico calo del mercato da e verso la Russia, colpita dalle sanzioni, si possono notare prestazioni eclatanti da parte di Paesi accomunati, geograficamente e politicamente, da una caratteristica: sono tutti vicini alla Russia. Si va dal Kirghizistan che segna un +370% al Turkmenistan (+141%), dal Kazakhstan (+103%) all’Armenia (+48%).

La possibile spiegazione è che attraverso queste rotte passino, e poi arrivino a destinazione, una parte dei container che prima venivano spediti direttamente a Mosca. Una spiegazione avvalorata anche da un’inchiesta dell’emittente Cnbc che ha rilevato come il balzo del Pil di buona parte degli stati satelliti della regione del Caucaso sia dovuto proprio all’intensificarsi dei rapporti commerciali e finanziari con Mosca, avvantaggiandosi dello stato di isolamento inflitto alla Russia dalle varie ondate sanzionatorie dei governi occidentali, trasformandosi in intermediatori commerciali offrendo un terreno neutro per il transito delle merci, consentendo così anche di aggirare le misure imposte a Mosca su import ed export.

Un fenomeno confermato dunque anche dai numeri delle imprese manifatturiere venete, le cui esportazioni verso la Russia sono diminuite del 10,39% passando 545,7 a 488,9 milioni di euro. La differenza di oltre 56 milioni è però compensata dagli ottimi risultati registrati con altri Paesi, su tutti la Turchia, dove le imprese venete sono passate da 587 milioni a 840 milioni con un balzo del 43%. Si sono rivelati brillanti anche i rapporti commerciali con il Kazakhstan (le esportazioni sono passate dai 33 milioni del 2022 ai 69 milioni del 2023), la Georgia (da 24 a 29 milioni con un +58,2%) e il Kirghizistan che in appena un anno passa da 3,4 a 16,1 milioni con un vero e proprio balzo del 370%.

Va però sottolineato che il fenomeno non riguarda solamente il Veneto e il Made in Italy. bensì tutte le imprese comunitarie. Se si prende ad esempio proprio il Kirghizistan i dati mostrano che l’export Ue verso il Paese nel corso del 2022, primo anno del conflitto in Ucraina, si è impennato del 345%, sopra il miliardo di dollari. Quello tedesco, nel confronto tra i primi mesi di quest’anno e lo stesso periodo del 2019 è più che decuplicato. Sono dati che sui tavoli di Bruxelles e del governo americano circolano e che spiegano perché il regime e i russi più facoltosi abbiano ancora accesso a prodotti internazionali che in teoria dovrebbero essere loro negati.

Decisamente più complesso è dire se ci siano o meno beni sottoposti a sanzioni, e in che misura. È probabile che buona parte di quel commercio sia composto da prodotti leciti, ma deviati per necessità o precauzione, magari perché il cliente o l’importatore russo non possono più pagare in dollari e operano quindi attraverso un partner kirghiso o kazako.

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