Dal Pnrr alla legge di bilancio Boeri rimanda il governo Meloni. «Pensioni, grave marcia indietro e pessimi segnali sull’evasione»
Dalle riforme all’Europa, l’analisi dell’economista della Bocconi ed ex presidente dell’Inps. «Sul Next Generation EU l’esecutivo dovrebbe negoziare un allungamento dei tempi»

«In tema di pensioni trovo grave da parte del governo la marcia indietro di cui si parla. Soprattutto se riguarda solo le categorie maggiormente in grado di esercitare pressioni. È peggio di non aver fatto nulla». È il giudizio netto di Tito Boeri, professore di economia alla Bocconi di Milano e presidente dell’Inps dal 2014 al 2019. Insieme al collega Roberto Perotti ha da poco dato alle stampe il volume “Pnrr, la grande abbuffata”, in cui vengono passati in rassegna i pregi e, soprattutto, i difetti del Next Generation Eu.
Il Pnrr è paragonato a una scommessa: ossia che gli investimenti finanziati e le riforme aumenteranno il tasso di crescita dell’economia italiana riducendo il debito pubblico. Il governo Meloni ha proposto modifiche al piano originario. In quale direzione vanno?
«Una revisione dei progetti era inevitabile. Alcuni non erano evidentemente più fattibili a causa soprattutto degli aumenti dei prezzi nel settore dell’edilizia provocati anche dal Superbonus. Tuttavia muovo due critiche al governo: la prima è di aver ridotto la quota di progetti per risolvere il problema principale del nostro Paese, ossia l’emarginazione e il degrado sociale. Il recupero delle fasce di popolazione in condizione di emarginazione sociale infatti può avere effetti importanti sul tasso di scolarizzazione e sulla disoccupazione e quindi sulla crescita».
E la seconda critica?
«È stato rivisto l’obiettivo di ridurre il cosiddetto tax gap, l’evasione fiscale, ossia la differenza fra le imposte che vengono incassate dalle amministrazioni fiscali e quelle che si incasserebbero in un regime di perfetto adempimento. Lo ritengo un pessimo segnale sia nei confronti di chi vuole comprare i nostri titoli di Stato sia nei confronti dei cittadini».
Scrivete che ora ci ritroviamo con un Pnrr ancora più grande di quello iniziale e quindi con un debito pubblico, in prospettiva, ancora più elevato. Per un Paese come l’Italia il Piano rischia così di trasformarsi in un boomerang?
«Come dicevamo all’inizio il Pnrr è una scommessa forse figlia della teoria sul debito buono e il debito cattivo. Tuttavia credo che in un Paese come il nostro tutto il debito sia cattivo. Per cui andavano selezionati solo i progetti in grado di far fare passi avanti. Lo stadio di Venezia, che per fortuna è stato eliminato, è un esempio di come erano stati originariamente selezionati i progetti. Insieme a quello di Firenze era stato presentato come intervento di riqualificazione delle periferie quando nessuno dei due impianti è localizzato in aree degradate».
Il cuore del Piano è però rappresentato dalle riforme. Come si sta procedendo?
«La verità è che, a titolo di esempio, la riforma Cartabia che doveva ridurre la durata dei processi non sta ottenendo risultati. Le riforme della scuola e del mercato del lavoro meno che meno. Erano riforme che non facevano i conti con i problemi attuativi poi prontamente manifestatisi. Per non parlare della pubblica amministrazione per la quale non si vedono cambiamenti sostanziali».
C’è ancora il tempo per intervenire?
«Credo che il governo dovrebbe negoziare in sede europea un allungamento dei tempi. E credo che la Commissione accetterebbe perché non siamo l’unico Paese a essere in ritardo».
A proposito di riforme anche il Fondo monetario internazionale ha parlato di una Legge di Bilancio carente di riforme per la crescita. È d’accordo?
«In questa manovra c’è poco. Va nella direzione giusta la conferma del taglio del cuneo fiscale, ma il carattere di temporaneità di molte misure non permette alle imprese una programmazione efficace. Più che per il contenuto della manovra, critico il governo per quello che non ha scritto».
In questi giorni si è aperto un duro dibattito tra le forze politiche sulla misura che riguarda le pensioni presente in manovra. Per Palazzo Chigi doveva essere inemendabile. La Lega ora ne chiede la revisione. Cosa ne pensa?
«Ho sempre valutato negativamente le quote perché introducono ingiuste asimmetrie. Ora la Legge di Bilancio introduce una nuova quota, ma lo fa prevedendo delle riduzioni degli importi per chi va in pensione prima e questo rende la “quota Meloni” meglio delle quote di Conte e di Draghi. Sono invece preoccupato per la marcia indietro del Governo sul provvedimento che riduceva situazioni di privilegio, in particolare per alcuni medici, infermieri, dipendenti di enti locali, maestri e ufficiali giudiziari».
Perché?
«Godevano di trattamenti estremamente vantaggiosi: contributi versati per un solo anno a partire da uno stipendio di mille euro potevano portare a una pensione di 250 euro più alta per sempre, quando per gli altri dipendenti pubblici e privati l’incremento sarebbe stato di 25 euro, quindi dieci volte più piccolo. Trovo perciò grave la marcia indietro di cui si parla, soprattutto se riguarda solo le categorie maggiormente in grado di esercitare pressioni. È peggio di non aver fatto nulla».
I dati della Banca d’Italia hanno mostrato una frenata per l’economia del Nord Est. E i segnali per il futuro non sembrano essere incoraggianti.
«Anche il 2024 potrebbe essere un anno complicato. Fortunatamente sembra essersi fermata la crescita dei tassi senza aver portato quegli effetti recessivi di cui si era parlato. Tuttavia continueranno a pesare le tensioni geopolitiche, rendendo complicata la programmazione degli investimenti per le imprese».
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