Antonio Marcegaglia: “L’emergenza vera è il gas russo, tante materie prime e il petrolio si trovano”
L’amministratore delegato del Gruppo siderurgico sulla situazione di penuria nei mercati globali: «Trend preesistente alla guerra in Ucraina»

Nessuna visione apocalittica, ma una ridefinizione degli equilibri questo sì. Lo spostamento del baricentro per l’approvvigionamento energetico, una riscrittura delle dinamiche all’interno delle catene del valore. Un mondo mutato con la pandemia, ma che si è modificato ancor più velocemente a causa del conflitto ucraino. Antonio Marcegaglia, presidente e ad dell’omonimo gruppo industriale, legge lo scenario economico e cosa attende le imprese dal suo privilegiato punto di osservazione.
Presidente Marcegaglia, c’è stata la pandemia, il lockdown, poi le chiusure e aperture e a singhiozzo, la ripresa, l’inizio della speculazione sulle materie prime e ancora il conflitto ucraino. Ci può guidare nella lettura di questo scenario?
«L’impatto negativo del Covid sull’industria e sulla manifattura è stato forse un po’ sopravvalutato. Alcuni settori hanno sofferto più di altri, ma l’impatto pesante è durato un trimestre. E se andiamo a guardare al contesto europeo e ancor più a quello globale alla fine si è trattato di uno scossone che avrebbe potuto fare danni peggiori. Sto parlando degli effetti economici, non certo delle conseguenze in termini umani e sociali, chiaramente. La reazione che si è avuta a livello globale, come politica monetaria e fiscale, è stata estremamente corposa. Queste misure hanno innescato una ripresa già nell’anno del Covid e ancora più nel 2021, che ha segnato una dinamica fortemente espansiva. Sommata alla liquidità generosa immessa in tutto il sistema, questa crescita ha dato fiato a un aumento del prezzo delle commodities e delle materie prime in generale. Questo è il punto di partenza, perché il trend era già su una crescita robusta».
Poi però è arrivata la guerra.
«Sì, inaspettatamente, la Russia ha attaccato l’Ucraina. E soprattutto in Europa, che è un’economia fortemente connessa con entrambi i Paesi, si è creata una carenza di offerta e una interruzione brusca nei flussi di molte materie prime, in particolare del nostro settore. La Russia per la siderurgia rappresenta il 21 per cento di tutte le importazioni europee di prodotti, percentuale che sale per le materie prime, per le quali l’Italia arriva addirittura al 50 per cento. È evidente che dall’oggi al domani è venuto a mancare un flusso stabile di tutta una serie di materie prime e di semiprodotti. Penso al minerale di ferro, al carbone, alla ghisa, ai pellets per i DRI, al rottame, al nichel, ai metalli rari. Ma anche alle bramme, alle lamiere da treno, ai coils a caldo. E parlo solo della siderurgia, che non è l’unico settore colpito. L’impatto c’è stato ed è stato considerevole, pur con qualche soluzione disponibile. Le faccio un esempio. In Friuli-Venezia Giulia, a San Giorgio di Nogaro, c’è un polo siderurgico importante, dove si producono 3 milioni di tonnellate di acciaio, che rappresentano il 30 per cento del mercato europeo delle lamiere da treno. Produzioni che partono dalle bramme, un semilavorato che dipendeva in larghissima parte, direi il 90 per cento, da Russia e Ucraina. Alcune aziende non hanno trovato alternative e si sono dovute temporaneamente fermare. Noi siamo stati molto rapidi e le abbiamo trovate, ovviamente a prezzi più alti. È chiaro che è partita una corsa all’approvvigionamento che - anche a seguito dell’incalzare delle sanzioni e di un effetto speculativo che non va dimenticato - ha creato una sensazione quasi di panico, dando uno scossone improvviso a tutta la manifattura».
C’è il tema poi dell’energia, se ne è ampiamente dibattuto.
«Per le materie prime energetiche, il gas in particolare, perché per il petrolio la situazione è un po’ meno critica, la sostituzione dei flussi, al di là dei prezzi, lievitati a livelli stravolgenti, ha implicazioni geopolitiche e infrastrutturali molto articolate. Il nostro Paese, insieme alla Germania, ha una dipendenza più stringente, soprattutto dalla Russia. Il Governo sta cercando di trovare soluzioni alternative, ma la percentuale di gas che importiamo è molto significativa e anche volendolo pagare di più, non credo sia possibile a breve sostituirlo in toto. Una condizione, purtroppo, abbastanza vincolante, tanto che al di là delle dichiarazioni di interventi sanzionatori sul gas, nessun Paese riesce a interrompere le forniture dalla Russia».
Sono state introdotte delle misure dal Governo e dall’Europa, con il programma RepowerEu per modificare la geografia dell’approvvigionamento prima di tutto. È sufficiente? Oppure servirebbe altro?
«Il progetto nel suo complesso è assolutamente condivisibile nei principi e nelle linee guida. La diversificazione, in ogni mercato e settore, è una cosa sana. Non dover dipendere da nessuno in via predominante, è un pilastro del business. Ma la diversificazione va pianificata e preparata, non si può improvvisare: il GNL che arriva dal Qatar o dagli Stati Uniti non credo sia una soluzione a buon mercato. Certo, se ti brucia la casa pensi prima a spegnere l’incendio, ma poi devi fare in modo che non bruci di nuovo. Quindi, diversificare le fonti e gli approvvigionamenti è sicuramente una strada da percorrere, ma come dicevo prima pianificando e con una politica realistica e di lungo termine. Sento parlare di biometano e idrogeno: benissimo, sono entrambe soluzioni valide, ma sono impegnative, la prima per i costi, la seconda perché è a tutt’oggi una sfida ancora lunga. E il gas che sarà necessario questo autunno non potrà certo arrivare da lì, tanto che lo stiamo cercando in Algeria, Angola, Congo, Mozambico, Azerbaijan. Ci sarebbe anche l’Iran, che in pochi menzionano, ma che credo si stia cercando di “riabilitare”, perché o troviamo Paesi alternativi alla Russia o restiamo senza gas».
Mettere un tetto al prezzo del gas aiuterebbe?
«Da imprenditore sono per il mercato, ma qui siamo in un mercato “drogato” per cui sono favorevole ad un tetto o ad un meccanismo di monitoraggio del prezzo. Il Governo italiano si sta spendendo molto, ma ho l’impressione che in Europa non sia una scelta troppo condivisa. Non sono così fiducioso ci si arriverà».
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