Acciaio, il rottame adesso costa il doppio
La paralisi dei porti di Odessa e Mariupol ha conseguenze pesanti. Leghe speciali a corto di nickel, vanadio, cromo e titanio

«Russia e Ucraina sono tra i principali esportatori mondiali di materie prime e semilavorati utilizzati dalle acciaierie del Nordest». Stefano Ferrari, responsabile ufficio studi di Siderweb (community dell’acciaio), va dritto al cuore del problema nell’analizzare la situazione della siderurgia locale. «I prezzi delle materie prime viaggiavano su livelli elevati già prima della guerra, ma comunque la produzione viaggiava su ritmi sostenuti, grazie anche alla ripresa dell’economia globale. Lo scoppio del conflitto ha creato una situazione insostenibile», aggiunge l’esperto.
A questo va aggiunto che nickel, vanadio, cromo, titanio, tutti indispensabili per gli acciai di qualità, hanno raggiunto prezzi record. Le conseguenze sono state immediate. Acciaierie Venete, Acciaierie di Verona, Acciaierie Beltrame e un crescente numero di fonderie, tra le altre le veronesi Zanardi, hanno già conosciuto stop più o meno lunghi della produzione. «Quando alle difficoltà oggettive, si aggiungono dinamiche speculative, diventa impossibile produrre», è la chiave di lettura fornita da Alessandro Banzato, presidente di Federacciai oltre che presidente e amministratore delegato di Acciaierie Venete.
Per l’esperto c’è il rischio concreto di una paralisi produttiva a breve termine, paragonabile a quella vissuta con il primo lockdown pandemico, «ma molto molto molto più pericolosa», in quanto legata a problemi di difficile risoluzione in tempi rapidi. Con le materie prime che non si trovano, o si trovano solo a carissimo prezzo, la siderurgia non può ribaltare sul mercato gli aumenti di costo come invece possono fare altri comparti, come ad esempio il lusso. Ferrari ricorda come i problemi non siano legati solo ai blocchi alle produzioni ucraine (Paese dal quale arrivano molti dei semilavorati utilizzati nelle industrie del Triveneto) e i vincoli all’import russo (mercato di approvvigionamento soprattutto per la ghisa), ma riguardino anche la paralisi dei porti di Odessa e Mariupol, dai quali tra gli altri partono i rottami verso la Turchia, che è il principale utilizzatore a livello mondiale. Con il blocco degli scali, Ankara rivolge la domanda altrove e il risultato è che in pochi giorni il prezzo dei rottami è raddoppiato. Non a caso il Governo italiano ha stabilito che, fino al 31 luglio 2022, le imprese italiane o stabilite in Italia che intendono esportare fuori dall’Unione europea i rottami ferrosi hanno l’obbligo di notificare, almeno dieci giorni prima dell’avvio dell’operazione, al ministero dello Sviluppo economico e a quello degli Esteri una informativa completa dell’operazione. Chiunque non osservi l’obbligo rischia una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30 per cento del valore dell’operazione.
Per ovviare all’emergenza, gli operatori italiani stanno cercando fonti di approvvigionamento alternative, in primis il Brasile, anche se le disponibilità sono inferiori e in ogni caso occorre tempo per organizzare una nuova filiera. «Russia e Ucraina sono mercati molto importanti per le imprese italiane del settore, ma non è solo quello: quanto che sta accadendo mette tutti a dura prova», riflette Marco Ferrone, amministratore delegato di Marcegaglia Palini. «Il problema di approvvigionamento delle materie prime, dei costi impazziti anche in ambito energetico sta impattando su molte aziende. Per quanto ci riguarda, abbiamo scorte che ci permettono di procedere con livelli di produzione normali per un altro mese, nel corso del quale contiamo di veder arrivare le nuove forniture, quindi non dovremmo avere particolari problemi».
Dunque, almeno per il breve termine le realtà più strutturate non rischiano lo stop produttivo, ma se si allunga l’orizzonte di osservazione, si brancola nel buio. Intanto Palini si è riposizionata per tutti gli acquisti di materia prima: «Oggi compriamo un po’ da tutto il mondo, da diversi fornitori. La sfida è riconfigurare gli aspetti logistici della nostra supply chain», aggiunge Ferrone. Che sottolinea la necessità di stare sempre in guardia, dato lo scenario in continua evoluzione. «Basti pensare al decreto russo – conclude Ferrone – che ha fissato l’obbligo di pagare le forniture energetiche in rubli».
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