Mostra del Cinema di Venezia, gli episodi della serie Portobello: «Tortora morì di ingiustizia»
Un pappagallo su una maschera apre la nuova serie di Marco Bellocchio sul caso giudiziario che sconvolse l’Italia. Fabrizio Gifuni è Enzo Tortora, conduttore simbolo della TV anni ’80, travolto da un clamoroso errore giudiziario

Un pappagallo si appoggia sopra ad una maschera. Con questa immagine, presagio enigmatico e inquietante, si apre la serie televisiva “Portobello”, firmata da Marco Bellocchio e con Fabrizio Gifuni nei panni di Enzo Tortora, i cui primi due episodi sono stati presentati ieri alla Mostra (la vedremo intera, 6 puntate, a inizio 2026 nella nuova piattaforma HBO Max, e a seguire sulla Rai).
Il pappagallo, protagonista della trasmissione dei record “Portobello”, ideata e condotta da Tortora tra il 1977 e il 1983, ripete in maniera acritica quanto ascolta, facendo vincere ai concorrenti milioni di lire. Così come gli inquirenti hanno ripetuto, senza metterla in discussione, l’accusa del pentito camorrista Giovanni Pandico, che a Tortora ha fatto invece perdere la vita, in seguito all’incarcerazione per presunta associazione mafiosa e traffico di droga (tali furono la fatica fisica e la prostrazione psicologica, da essere considerate tra i fattori dello sviluppo del suo tumore).
Una vicenda rimasta tra i più clamorosi errori giudiziari italiani (l’assoluzione in Cassazione arrivò nel 1987), con magistrati che negli incubi di Tortora prendono le sembianze di Balanzone, maschera bolognese del dottore in legge borioso e saccente. Ma la narrazione, approfondita e senza sconti, ordita da Bellocchio sulla cronaca storica del caso Tortora, si orna di trame squisitamente intime e personali, oltre che politico-sociali, come è stato per la sua precedente bellissima serie “Esterno notte”, sul caso Moro, interpretato sempre da Gifuni, in un sodalizio artistico che sembra ormai stabilizzarsi. Il conduttore viene mostrato subito all’apice del successo: 28 milioni di ascoltatori, gradimento e popolarità insuperabili, italiani di ogni provenienza e classe sociale sono ammaliati da “Portobello”. Tortora si sente intoccabile. Da un giorno all’altro però tutto cambia, arrivano improvvisamente le manette e il linciaggio mediatico non si fa attendere, lasciando il divo all’indigesto rito dell’incarcerazione, nel tormento di non darsi un motivo, ma soprattutto preda del ferale timore di perdere l’amore del pubblico.
«E’ nella sua caduta che Tortora diventa umano – spiega Bellocchio – ed è questo che volevo indagare, ispirato dalle lettere che scriveva in detenzione alla compagna Francesca Scopelliti. D’altronde come conduttore televisivo mi era estraneo, ma quando fu arrestato mi colpì il suo autentico stupore, che nella serie ho innescato dalla casualità di incrociare le ossessioni di un camorrista pentito in cerca di visibilità. L’assenza di padrini politici, perché era notoriamente un liberale, quindi “né democristiano, né comunista, né massone”, come da battuta, non agevolò la strada della verità, facendone un martire dell’ingiustizia».
Il Tortora che quasi rivive nel corpo e nello spirito di Gifuni, è quello di un uomo libero, che per una spietata legge del contrappasso, ha portato al cambiamento da uomo recluso. «In seguito a questa vicenda i codici di procedura penale sono stati aggiornati a favore di un maggior garantismo – sottolinea Gifuni - e di un maggior rispetto della deontologia giornalistica verso gli indagati. Tortora è stato tra i più convinti sostenitori della liberalizzazione della televisione, non risparmiava con coraggio critiche pubbliche alla Loggia P2, e forse, anche per questo, sotto alla fama si insinuava una crescente antipatia».
Sentimento avverso che esplode in quella stessa folla, dapprima acclamante e poi giudicante, «proprio come fanno oggi gli haters – chiude il produttore Lorenzo Mieli – una dinamica persistente su cui “Portobello” ci porta a riflettere».
Il red carpet ha accompagnato in Sala Grande il resto del cast: un intenso Lino Musella nei panni di Pandico, Barbora Bobulova che fa Anna, la sorella di Tortora, e Romana Maggiora Vergano con il ruolo di Francesca Scopelliti, presente anche lei stessa in persona, con la figlia del conduttore, Gaia Tortora, che ha appoggiato la nascita della serie ma “senza alcuna ingerenza nella realizzazione”, come ha precisato Bellocchio. Per tutti un applauso finale davvero commosso, a testimonianza del bisogno di tenere viva la memoria di storie del passato che hanno ancora tanto da raccontare al presente.
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