Guerre e mostri, quante ossessioni sfilano a Venezia82: ecco cosa vedremo
I film in concorso e quelli fuori concorso e le serie tivù di questa edizione della Mostra del Cinema raccontano di guerre, dittatori, società distopiche, paranoie. Con un omaggio al Portobello di Enzo Tortora

Guerre, dittatori, società distopiche, paranoie. La Mostra del Cinema di Venezia 82 è attraversata da angosce: passate, presenti e future. Sono i mostri e le mostruosità cui accennava il direttore Alberto Barbera nella presentazione del programma.
Uno dei fili rossi da seguire nella selva di titoli in Concorso e Fuori Concorso. Temi che ne intrecciano altri, più universali, che scavano nelle relazioni umane e professionali, in un bilancio esistenziale sempre in passivo, spesso con drammatiche implicazioni giudiziarie.
Rare le vie di fuga: qualche ritratto biografico, lo sguardo contemplativo di alcuni autori, un manipolo di film di genere.
La guerra
La guerra (con i suoi scontri ideologici) è un rumore bianco costante. Che sia la rivolta al regime comunista nella Budapest del 1956, rielaborata in chiave personale dall’ungherese László Nemes in “Orphan”, o l’attualissimo incubo nucleare di Katherine Bigelow (A House of Dynamite) o, ancora, la straziante storia (vera) di una bambina intrappolata in un’auto a Gaza sotto il tiro dell’esercito israeliano (con le registrazioni audio originali che Barbera, con voce rotta, ha definito impressionanti) nel film di Kaouther Ben Hania (The Voice of Hind Rajab), la paura si insinua sotto pelle per incarnarsi in uno dei suoi più moderni dittatori. Vladimir Putin (interpretato da Jude Law) è il co-protagonista di “The Wizard of Kremlin” in cui Olivier Assayas racconta l’uomo di potere in divenire, plasmato da un fittizio spin-doctor.

Personaggi
Personaggi autentici e di finzione si mescolano in un continuo gioco di sponde. C’è la divina “Duse” nel film di Pietro Marcello e la fondatrice della setta religiosa degli Shaker (nell’opera di Mona Fastvold - The Testament of Ann Lee), ma anche la fantomatica CEO di una grande azienda interpretata da Emma Stone, frutto dell’invenzione di Yorgos Lanthimos nel cospirazionista “Bugonia” e una nuova versione della “creatura” nel “Frankenstein” di Guillermo Del Toro che apre una breccia nel cinema fantastico o di genere.
Horror, distopia e casi giudiziari
A volte si sconfina nell’horror (“La valle dei sorrisi” di Paolo Strippoli), altre nella distopia di “Chien 51” di Cédric Jimenez, in una Parigi iper-classista del futuro. Se l’avvenire è fosco, il ritorno al presente non è meno traumatico.
Due film “giudiziari” ne certificano la profonda complessità. Dal legal-drama di Antonio Capuano (L’isola di Andrea) che racconta la sofferta battaglia legale tra due genitori per la custodia del loro unico figlio di 8 anni, all’indagine criminologica di Leonardo Di Costanzo in “Elisa” che ripercorre la storia di una donna condannata per l’efferato omicidio della sorella. Accuse insostenibili come quella che serpeggia nell’ultimo lavoro di Luca Guadagnino (After the Hunt) con Julia Roberts alle prese con una denuncia per molestie sessuali.
La società in crisi
La società è fuori controllo (il coreano Park Chan-wook in “No Other Choise” racconta di un disoccupato disperato che, per trovare un nuovo impiego, decide di eliminare fisicamente la concorrenza …), le relazioni personali sull’orlo di una crisi di nervi. Il ventaglio dei titoli della Mostra che restituiscono una dimensione esistenziale complicata e conflittuale è assortito.
Attori in crisi (George Clooney in “Jay Kelly” di Noah Baumbach), uomini che toccano con mano l’indigenza (“Á Pied d'oeuvre” di Valérie Donzelli) o, ancora, storie vere di celebrati campioni di lotta libera (“The Smashing Machine” di Benny Safdie) in pieno caos emotivo o cittadini truffati dalle banche in cerca di vendetta (“Dead Man’s Wire” di Gus Van Sant).
E la famiglia non è un porto sicuro. Jim Jarmush la disseziona in “Father Mother Sister Brother”; la taiwanese Shu Qi in “Girl” riflette su madri, mogli e figlie nella sua società, mentre il danese Anders Thomas Jensen segue il viaggio surreale di due fratelli alla ricerca di un tesoro nascosto (The Last Viking).
La letteratura
E se le ossessioni non sono solo quelle inventate ma anche quelle personali dei loro autori (nella riflessione amara e autoironica di Franco Maresco in “Un film fatto per Bene”), anche le opere ispirate alla letteratura gridano l’assurdità dell’esistenza (“L’Etranger” di François Ozon da Camus), raccontano di viaggi allucinati in altre dimensioni (“Orfeo” di Virgilio Villoresi da Dino Buzzati) o mescolano i piani temporali in un thriller all’ombra del Sommo Poeta (“In the Hand of Dante” di Julian Schnabel tratto da Nick Tosches).
Tempi bui, rischiarati appena da una delle poche commedie in programma (“Il Maestro” in cui Andrea Di Stefano racconta il rapporto fra un istruttore di tennis depresso – Pier Francesco Favino - e un adolescente privo di talento) o dallo sguardo contemplativo sulla natura (“Silent Friend” di Ildikó Enjedi), sul deserto e il senso della vita (“Sermon to the Void” di Hilal Baydarov) o da quello di Gianfranco Rosi nel suo mosaico affettuoso e ironico sulla città di Napoli (Sotto le nuvole). E l’amore? Sembra solo nelle corde del nuovo titolo di Paolo Sorrentino (La Grazia) che aprirà la Mostra più “mostruosa” degli ultimi anni.
Le serie tivù
Il red carpet delle serie tivù alla Mostra quest’anno è riservato a “Portobello” di Marco Bellocchio, che l’1 settembre alle 21.45 sfilerà verso la sala Grande con Fabrizio Gifuni, nei panni del protagonista Enzo Tortora, di cui si narra il caso giudiziario (in visione le puntate 1 e 2).

Molto attesa anche “Il mostro” di Stefano Sollima, miniserie in quattro episodi basata sulle investigazioni che portarono all’arresto di Pacciani nell’ambito dell’inchiesta sul mostro di Firenze: un percorso negli abissi del male.
“Un prophète” è invece una serie internazionale (8 puntate), girata da Enrico Maria Artale come adattamento dall’omonimo film di Jacques Audriard, un romanzo di formazione tra le sbarre di un carcere marsigliese, mentre “Etty” (6 episodi) di Hagai Levi racconta la vita della giovane ebrea Etty Hillesum nell’Amsterdam occupata dai nazisti attraverso i suoi diari e la sua psicoterapia.
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