Nella sezione Orizzonti il volto dei giovani resi più fragili da questa politica

Due le proposte italiane: “Un anno di scuola” di Laura Samani e “il rapimento di Arabella” di Carolina Cavalli con Benedetta Porcaroli

Marco Contino
Benedetta Porcaroli, protagonista del film "Il rapimento di Arebella"
Benedetta Porcaroli, protagonista del film "Il rapimento di Arebella"

Anche quest’anno la sezione Orizzonti di Venezia 82 è quella più centrata sui giovani, sul loro ingresso nell’età adulta, con il venir meno di riferimenti familiari e politici che li ha resi fragili.

Gli italiani

Non è un caso che i due film italiani in concorso siano altrettanti, seppur diversi nello stile, “coming of age”. Laura Samani racconta la crescita di una studentessa svedese piombata nelle vite di tre ragazzi di un istituto tecnico triestino, tra amicizia, amori e incomprensioni in “Un anno di scuola”.

Carolina Cavalli, invece, sceglie il registro surreale per disegnare le traiettorie sghembe di una giovane donna disadattata (interpretata da Benedetta Porcaroli) che crede di riconoscere in una bambina di 7 anni una se stessa più piccola da poter rimettere sui binari giusti: è “Il rapimento di Arabella”, girato tra Padova, Vicenza (e le loro province) e Rosolina.

Gli stranieri

Anche Mihai Mincan ambienta nella Romania crepuscolare dell’epoca comunista un racconto di formazione mistery/fantasy (Milk Teeth); mentre in “Strange River” di Jaume Claret Muxart il viaggio in bicicletta lungo il Danubio del giovane protagonista diventa metafora di crescita e scoperta interiore.

Itinerari fisici e dell’anima come quelli raccontati da Mark Jenkin in “Rose of Nevada” (con una barca misteriosa che riemerge dal mare e salpa alla ricerca di un futuro migliore) o dalla giovane regista indiana Anuparna Roy (Songs of Forgotten Trees) nella storia di due coinquiline moderne di Mumbai costrette a misurarsi con il maschilismo della società.

I drammi della contemporaneità (anche nel thailandese “Human Resource” del regista dal nome più impronunciabile di tutta la Mostra - Nawapol Thamrongrattanarit - che riflette sul crollo globale dei tassi di natalità) intrecciano quelli più intimi.

Il rapporto tra una madre e il figlio abbandonato nel primo film ecuadoriano mai programmato al Lido (“Hiedra” di Ana Cristina Barragán); il tentativo di due giovanissimi rifugiati birmani che intraprendono una vera e propria odissea per ricongiungersi ad un parente lontano (“Lost Land” di Hará Watan); la tragedia di un padre che dimentica la figlia di due anni in un’auto rovente un giorno d’estate: è “Father” di Tereza Nvotová che, con un salto carpiato, porta a scoprire un titolo quasi “complementare”.

Anche se “Mother” di Teona Strugar Mitevska si riferisce a Madre Teresa di Calcutta (interpretata da Noomi Rapace), prima che fondasse la sua congregazione.

Biografie autentiche e inventate come quella del poeta newyorchese Ed Saxberger (Willem Dafoe) raccontato da Kent Jones in “Late Fame”, tratto da Arthur Schnitzler. L’argentino Alejo Moguillansky rilegge, invece, Samuel Beckett in “Pin de Fartie”, invertendo le iniziali del testo originale, all’insegna di una versione molto personale dell’opera.

Non è teatro dell’assurdo ma si respira mistero in “Grand Ciel” del giapponese Akihiro Hata che ambienta in un quartiere futuristico una vicenda di strane sparizioni. Come sono stravaganti i soufflé che rifiutano di gonfiarsi nella dark comedy di Gastón Solnicki (The Souffler) che unisce umorismo, attualità e temi sociali.

Che ritornano in “Divine Comedy” in cui il regista iraniano Ali Asgari racconta la difficoltà di fare un film nel proprio Paese. Sfidano le autorità e le convenzioni anche i camionisti messicani innamorati nel film “En el Camino” di David Pablos con lo sfondo di una società profondamente machista e l’ombra della criminalità organizzata.

Una rapina finita male è, invece, l’inizio di una storia d’amore ma anche di un viaggio nella notte alla ricerca della propria amata in “Funeral Casino Blues” di Roderick Warich.

Mentre c’è da aspettarsi una atmosfera allucinata da “Barrio Triste” il primo lungometraggio del regista e fotografo statunitense di origine colombiana Stillz, noto per i suoi videoclip musicali (molti con Bad Bunny, che appare nel film). Il fatto che a produrre sia Harmony Korine è già una promessa di cinema fuori da tutti gli schemi. —

 

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