Hind Rajab, così muoiono i bimbi di Gaza
Commozione, cori e una standing ovation di 24’ alla Mostra del Cinema per il film di Kaouther ben Hania. La regista tunisina: «Questa non è fiction, il mondo non può più stare in silenzio»

Nel 1832, quando uscirono “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, il primo ministro asburgico, principe di Metternich, ammise che il libro aveva danneggiato l’immagine dell’Austria più di una guerra perduta.
Forse dopo che “The voice of Hind Rajab” di Kaouther ben Hania uscirà nelle sale di mezzo mondo, la figura di Netanyahu e del suo governo potrebbero subire un contraccolpo, anche grazie all’intervento produttivo di alcune star hollywoodiane come Brad Pitt e Joaquin Phoenix. Ma per ora non è così e dunque affidiamo a questo film il dovere e la forza dell’emozione, registrando, come ha detto la regista, che il cinema aiuta a «resistere all’amnesia e all’indifferenza dello scrolling».

Il 29 gennaio 2024
29 gennaio 2024. I volontari della Mezzaluna Rossa ricevono una chiamata di emergenza. Una bambina di sei anni, Hind Rajab, è intrappolata in un’auto sotto attacco a Gaza, e implora di essere salvata. Mentre cercano di tenerla al telefono fanno tutto il possibile per farle arrivare un’ambulanza. Sappiamo che non ci riuscirono, anche perché dopo ore interminabili in attesa del via libera da parte dell’esercito israeliano, giunti finalmente a due metri dall’auto vennero raggiunti da una granata che li uccise assieme alla bambina.
Il film della regista tunisina ricostruisce quelle tragiche ore utilizzando un documento eccezionale, la registrazione della voce di Hind, così come è rimasta nelle tracce della Mezzaluna Rossa e ambienta i 90’ del film nelle due stanze dei volontari di quello che è il parallelo della Croce Rossa nel mondo islamico. Sicuramente il film darà luogo a polemiche e a distinguo, ma l’operazione della regista tunisina è genuina e seria, sfrondata il più possibile da retoriche, ripulita da possibili colpi bassi (non vi sono ricostruzioni di fiction della scena dell’incidente, né immagini della bimba) e recitato da attori e attrici che si sono documentati parlando con gli operatori del pronto intervento e con il grande supporto della mamma e della famiglia di Hind Rajab.
Le lacrime reali
Anzi le attrici e gli attori hanno ricordato come la regista Kaouther ben Hania abbia fatto ascoltare loro la voce registrata solo una volta giunti sul set. Per questo, hanno ricordato in più d’uno, «le lacrime che vedete sono reali, non di scena». Piuttosto, il film mostra bene quali siano le lentezze cui devono sottostare i soccorsi, che ricevono l’autorizzazione a muoversi solo attraverso lunghi e complicati passaggi tra la Croce Rossa e i comandi operativi israeliani. Dunque ricostruzione ed emotività vanno di pari passo anche con le vite degli interpreti, come nel caso dell’attore che interpreta Omar, che riceve la telefonata per primo, Mothaz Malhees, che ha ricordato la sua infanzia difficile in Cisgiordania: «Ho lasciato questa vita perché volevo garantire ai miei figli un futuro, ma io ho lasciato lì la mia vita. Mentre recitavo ho avuto un attacco di panico, ma sapevo che dovevo farlo, non è fiction, è vita».

La scelta di narrare la vicenda dal punto di vista della Mezzaluna Rossa è stata la soluzione migliore per controllare il dolore e l’emozione e insieme rispondere al senso del dovere, che impone delle scelte.
Il senso del dovere

«Si è perso il senso del dovere su Gaza? Mi chiedo spesso a cosa serva fare qualcosa, siamo giunti a un livello talmente basso, ma altre volte sono più positiva», ha aggiunto la regista. Anche per questo un’altra protagonista, Saja Kilani, a nome di tutto il cast e della produzione ha ricordato come sia ora di dire basta a questa distruzione: «Questa non è fiction, “The voice” rappresenta il dramma di migliaia di bambini ed è la voce di ogni bambina e bambino cui negli ultimi due anni sono stati rubati sogni, speranze, vita. Il mondo non può più stare in silenzio, occorre fare qualcosa ora, per il futuro di ogni bambino», ripetendo più volte «It’s enough» come la spilla che il cast si è appuntato sul petto durante il red carpet. Certo per la giuria non sarà facile decidere serenamente: qualsiasi decisione presta il fianco a polemiche, perché l’attribuzione di un premio verrà svilita a conseguenza dell’emozione, ma se dovesse ignorare il film - che ripetiamo è potente e bello - subirà veementi accuse da parte di chi sostiene la causa umanitaria di Gaza e che ieri ha chiesto alla Mostra di esporre la bandiera palestinese in rappresentanza dei film di quel paese. —
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