Troppo caldo e il letargo si “accorcia”: ecco perché gli orsi sono sempre più vicini ai centri abitati

Uno studio internazionale che ha visto la partecipazione dell’università di Udine rivela come l’aumento delle temperature ne modifichi dieta, spostamenti e comportamenti

Giacomina Pellizzari
Un'immagine dell'orso Francesco, il plantigrado osservato speciale dall'Università di Udine
Un'immagine dell'orso Francesco, il plantigrado osservato speciale dall'Università di Udine

L’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici riduce il periodo del letargo dell’orso. Svegliandosi prima, l’animale non trova da mangiare nei boschi e quindi tende ad avvicinarsi ai centri abitati, dove l’uomo deve gestire in modo prudente i resti di cibo nella sezione umida dei rifiuti e gli animali domestici. Questo è solo uno dei fattori che incide sulla distribuzione dei plantigradi sul territorio: in Friuli Venezia Giulia si contano tra 5 e 10 esemplari, almeno sei in Veneto, molti dei quali in transito dal Trentino e dalla Slovenia. L’orso tende a insediarsi dove trova le risorse alimentari di cui si nutre. Lo confermano i risultati della ricerca europea partecipata dall’Università degli Studi di Udine con altre 75 istituzioni scientifiche di 26 Paesi e 87 studiosi impegnati sul campo e in laboratorio, pubblicati dalla rivista scientifica internazionale Global Change Biology.

Il gruppo del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’ateneo friulano coordinato da Stefano Filacorda (coadiuvato da Lorenzo Frangini), che da anni si occupa della gestione e della conservazione della fauna, ha messo a disposizione dello studio le localizzazioni Gps analizzate seguendo gli otto individui monitorati con collare satellitare nelle Alpi nord orientali e dinariche. Si tratta di Francesco l’orso trentino, catturato più volte in Carnia, dove, lo scorso anno, ha perso il collare e da allora sono venute meno le sue tracce. Al duplice pacchetto di dati di Francesco, l’ateneo ha fornito anche gli spostamenti di Andrei, Bepi, Mirtillo, Elisio, Madi e Alessandro, tutti gli altri orsi monitorati negli anni in Friuli Venezia Giulia. Al momento non risulta alcun orso dotato di collare satellitare.

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L'orso Francesco in una zona della Carnia

La ricerca

Lo studio ha analizzato oltre tre milioni di localizzazioni Gps di circa 3 mila orsi con collare satellitare appartenenti a 14 sottopopolazioni, in contesti ambientali molto vari in Europa e in Turchia. I risultati consentono di prevedere dove le specie potrebbero vivere e quali ruoli ecologici potrebbero svolgere in un futuro condizionato dai cambiamenti climatici e dall’uso del suolo. Lo studio evidenzia, infatti, come il cambiamento climatico induca l’orso bruno a spostarsi verso altitudini più elevate o verso i poli, dove le condizioni climatiche restano entro i limiti di tolleranza della specie.

L’aumento delle temperature può causare anche una riduzione della disponibilità alimentare, soprattutto per le popolazioni più meridionali (Balcani e Turchia) e con comportamento vegetariano. In Friuli Venezia Giulia è già capitato di vedere Francesco svegliarsi dal letargo prima del previsto nel corso di inverni particolarmente caldi, ed è proprio in questi casi che il plantigrado, per recuperare il peso del preletargo, aveva aumentato le interazioni con fonti alimentari antropiche, legate all’attività umana.

Dieta, ecosistemi e clima

Considerato che gli orsi hanno una dieta molto varia, la ricerca mette in luce l’importanza delle interazioni tra specie nella conservazione degli ecosistemi. Quelli che vivono in aree calde – come i Pirenei, la Grecia e la Turchia – hanno una dieta più vegetariana. In aree più fredde – come in Norvegia, Svezia e Finlandia – tendono a essere più carnivori. Gli individui presenti nelle Alpi nord orientali – in Friuli Venezia Giulia sono stimati tra 5 e 10 – seguono una dieta prevalentemente vegetariana, a parte individui specifici che attaccano gli animali domestici.

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Un esemplare di orso in Slovenia

«Questo significa – spiega il professor Filacorda – che il ruolo dell’orso nell’ecosistema varia, passando da erbivoro a erbivoro e carnivoro, anche con comportanti di necrofago, ovvero “di spazzino di carcasse”. Ciò ha permesso di studiare come le interazioni locali si manifestano su scala continentale. Gli orsi tendono a essere presenti in aree con maggiore disponibilità di energia e di nutrienti derivanti dalle specie della loro dieta. Nei Pirenei la presenza di querce e faggi, grazie alla produzione di ghiande e faggiole, rende più probabile la presenza dell’orso. In altre sottopopolazioni, dove l’orso è più carnivoro, la sua presenza è più strettamente legata alla distribuzione di ungulati selvatici come cinghiali, cervi o anche renne semidomestiche. Questo rafforza l’idea che per conservare le specie è necessario proteggere gli ecosistemi da cui dipendono».

Gli effetti indiretti

Finora la maggior parte degli studi si è concentrata sugli effetti diretti dei cambiamenti ambientali sulle distribuzioni delle specie. Questo studio, invece, analizza come le interazioni tra specie modellano i comportamenti. Comprendere come il cambiamento climatico o la trasformazione dell’uso del suolo influenzano le specie è fondamentale per conservare la biodiversità. Ma anche per mantenere l’acqua pulita, la fertilità del suolo e l’impollinazione. L’orso, infatti, contribuisce a migliorare la biodiversità delle foreste attraverso l’ingestione, il trasporto e la digestione dei semi.

I partner

La ricerca è stata coordinata dalle università di Siviglia e La Sapienza di Roma e dall’Istituto di conservazione della natura della Polonia, istituzioni che partecipano, con Udine, al network scientifico BearConnect. Tra i partner figurano il Museo nazionale di scienze naturali di Spagna, la Stazione biologica di Doñana, l’università Grenoble Alpes e il Centro nazionale francese per la ricerca scientifica.

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