Come cambia il clima, Luca Mercalli: «Il mare Adriatico più alto di mezzo metro»

Il climatologo presenta a Udine Breve storia del clima in Italia e analizza eventi estremi e soluzioni possibili per il futuro

La redazione
Rilievi e misurazioni sott’acqua compresi nell’attività di ricerca scientifica
Rilievi e misurazioni sott’acqua compresi nell’attività di ricerca scientifica

La storia come maestra di vita. Anche quella del clima, che Luca Mercalli ha ricostruito nel suo ultimo libro, Breve storia del clima in Italia. Dall’ultima glaciazione al riscaldamento globale, dove spazia dalla preistoria alle invasioni barbariche e all’Alto Medioevo, dalle Alpi ai tempi di Annibale fino a quelle di oggi, con la traversata che rese immortale il condottiero cartaginese probabilmente molto più facile, se è vero come è vero che i ghiacciai continuano a risalire e a perdere di spessore. Se in passato erano soltanto le catasfrofi naturali come le eruzioni vulcaniche a incidere sulle variazioni del clima, oggi è l’uomo ad averne cambiato il corso, dando via a un riscaldamento che ha avviato un drammatico countdown.

«Alla fine del secolo l’Adriatico si alzerà di almeno mezzo metro, e la costiera adriatica che va da Grado a Riccione, passando naturalmente per Venezia, è una delle zone più esposte a livello mondiale agli effetti dei cambiamenti climatici», spiega il climatologo torinese, che oggi sarà a Udine per il convegno “Cambiamenti climatici tra presente e futuro”, in programma alle 15 al polo universitario dei Rizzi, via delle Scienze, su iniziativa del Sindacato pensionati Cgil Fvg. Occasione per riflettere sul futuro del pianeta che lasceremo ai nostri figli e nipoti, ma anche sulle conseguenze già percepibili del riscaldamento globale.

Professor Mercalli, negli ultimi tre anni il Friuli Venezia Giulia ha vissuto due fenomeni che hanno lasciato segni profondi sul territorio, dalla grande siccità del 2022 alla grandinata del luglio 2023. Quanto sono stati straordinari questi eventi se comparati al passato?

«La siccità del 2022 è stata la peggiore degli ultimi 220 anni, la grandinata del 2023 ha visto chicchi di dimensioni colossali: i danni li abbiamo visti a Mortegliano, e il chicco da un chilo caduto su Azzano Decimo è il più grande mai raccolto in Europa».

Sono segni di una tendenza irreversibile o effetti di una ciclicità che ha sempre caratterizzato la storia del clima, come dice qualcuno?

«Ciclico è un aggettivo che dobbiamo cancellare, perché i cicli climatici sono legati alle glaciazioni, che sono l’effetto di una ciclicità astronomica: per la prossima ci vorranno altri 55 mila anni, tempi incomparabili con quelli umani. La storia del clima ci parla piuttosto di variazioni, sempre legate a grandi eruzioni vulcaniche e alle polveri emesse in atmosfera, in particolare lo zolfo. Mai, invece, abbiamo avuto un riscaldamento legato a cause antropiche come quello che stiamo vivendo e che è alla radice dell’intensificarsi di fenomeni estremi come quelli di cui stiamo parlando».

E ai quali dovremo quindi abituarci…

«Ci si abitua alle cose con cui si può convivere, non a fenomeni i cui effetti saranno sempre più difficili da gestire, anche in termini economici e assicurativi. Le politiche per fermare il riscaldamento globale sono note da più di trent’anni, per l’esattezza dalla Conferenza sul clima del 1992 a Rio de Janeiro, ma continuiamo a perdere tempo. E Trump, con il suo rilancio sulle energie fossili, rischia di farci smantellare anche quelle che abbiamo costruito. Un rischio che corre anche l’Europa, oggi interessata a investire più in armi che in pannelli. Al contrario della tanto vituperata Cina, che oggi è all’avanguardia per produzione e installazione di pannelli, oltre che sull’auto elettrica».

Siamo ancora in tempo per invertire la rotta?

«La Cop 30 che si terrà in novembre a Belèm, in Brasile, ci dirà chi vuole continuare a rallentare. Invertire la rotta non si può, perché abbiamo polmoni già malati. Ma possiamo smettere di fumare e sarebbe già tanto: se l’aumento della temperatura media rispetto all’era pre-industriale resta entro i 2 gradi, il livello dell’Adriatico a fine secolo sarà di mezzo metro in più. Se l’aumento sarà di 5 gradi il mare salirà di un metro e mezzo, che significherebbe mettere sott’acqua tutta la costiera adriatica, da Trieste fino alla Romagna».

Ma sott’acqua ci finiamo sempre più spesso anche per le piene dei fiumi. Ha ragione chi chiede di mettere in sicurezza il corso del Tagliamento?

«Il Tagliamento è l’ultimo fiume “selvaggio” che resta in Europa. Penso che vada preservato così com’è, lasciandogli le sue aree naturali di sfogo».

E le aree già abitate a rischio?

«Il rischio zero non esiste: con l’aumento delle piogge rischiamo di creare casse di espansione destinate comunque a essere insufficienti, com’è successo in Lombardia col Seveso. Parliamo di interventi molto impattanti e molto costosi: meglio lavorare sulle zone più esposte, anche investendo per offrire nuove case a chi vive nelle zone a rischio. In Francia lo stanno già facendo».

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