La guida: «Roccia marcia sulle Dolomiti, dalle Tre Cime al Civetta sino alle Tofane»
Casanova è anche uno dei massimi esperti della Croda Marcora, dove ha aperto una via: «Da anni ci sono crolli, ma sono mancate opere di prevenzione»

Due le verità, secondo Cristian Casanova, ingegnere e guida alpina. La prima: non è tutta marcia croda Marcora. La seconda: da anni si ripetono i distacchi, c’è l’accumulo sulle conoidi, ma non si sono approntate per tempo le opere di mitigazione e protezione.
Casanova ha aperto una delle sue prime vie, insieme ad Andrea Polo, proprio sulla Marcora, ancora nel 2016. «Per la verità, siamo arrivati a tre quarti della parete, è difficilissima, dovevamo completarla, ci mancherebbero le ultime decine di metri».
Come avete trovato la roccia?
«Noi siamo saliti a ridosso della parete crollata e la nostra era roccia di qualità eccezionale. La parte vicina era in effetti molto frastagliata, quindi con zone molto instabili. Quindi il Marcora presenta delle problematiche serie, perché puoi passare da una zona perfetta a un’altra che non lo è affatto. Il tutto su uno sviluppo di 800 metri perpendicolari. Dove noi abbiamo arrampicato, la roccia è sicura; siamo infatti andati avanti a speed perché non c’era la possibilità di mettere chiodi normali».
Altre vie aperte nel passato hanno riguardato anche la parete dei crolli?
«Una classica è stata aperta da Maurizio Dell’Omo. E poi un’altra in piena frana. Allora probabilmente non si presentavano le problematiche di oggi, quelle provocate dal cambiamento climatico. In ogni caso è bene sapere che il rischio zero non esiste. E non è vero neppure che sia tutta marcia la croda Marcora. Qui ci sono delle rocce così compatte che è difficile trovarle altrove sulle Dolomiti. Mentre la sommità è di roccia pessima. I crolli si sono verificati tra la cengia più alta e la cima».
Ci dobbiamo aspettare altri distacchi, quindi altre colate?
«Sono un ingegnere, non un geologo. Ma tutte le Dolomiti prima o poi avranno delle frane, perché è il ciclo naturale. Le nostre montagne sono destinate a diventare dei ghiaioni. Le Tre Cime di Lavaredo, ad esempio, sono molto marce; non hanno una roccia di qualità eccezionale. Non ce l’hanno neppure la Tofana di Rozes e la Tofana di Mezzo. Il Civetta ogni anno, sulla destra della parete Nord-Ovest che si chiama Pan di Zucchero, anima frane enormi, a livello del Marcora per capirsi».
I crolli del Pelmo hanno fatto anche dei morti.
«Purtroppo sì. Bisogna prestarci la massima attenzione a salirci. E come non ricordare il crollo da Cima Uno, in Val Fiscalina, che ha portato la polvere fino a Moso? Ma, ritornando al Marcora, c’è da dire che i crolli vanno avanti da oltre 5-6 anni. E non mi pare, purtroppo, che sia stato fatto granché dal punto di vista delle opere di prevenzione. Le frane hanno accumulato materiale detritico a valle, che con le bombe d’acqua comincia a venir giù. Non c’è più spazio per tenere questo materiale a monte. I bacini di laminazione nono indispensabili per prevenire le alluvioni, ma servono anche in montagna per evitare o quanto meno rallentare le colate».
I consigli di una guida alpina per gli escursionisti o gli arrampicatori? Lei fa parte anche del Soccorso alpino.
«Il consiglio canonico è di muoversi poco dopo l’alba, se non addirittura prima ancora dell’alba, in modo da essere di ritorno per mezzogiorno. E questo per non farsi trovare in arrampicata o in escursione sotto una parete il pomeriggio, quando immancabile arriva il temporale. Temporale, non si dimentichi, che spesso porta con se anche del fulmini pericolosi, come abbiamo visto nei giorni scorsi. Certo è che se una persona è in qualche modo preparata, sa i tempi e carica lo zaino di tutti i presidi necessari. Se si va a camminare sotto uno strapiombo o in cengia, è evidente che bisogna disporre del casco. E in talune uscite è consigliabile magari l’accompagnamento di una guida».
A proposito, i sentieri che attraversano il Marcora sono tutti blindati?
«Sì. Il Cai già da qualche anno li ha declassati. La cengia del Banco, sicuramente. Il sentiero che sale da Dogana Vecchia pure. C’è poi un percorso che arriva in cima da dietro la montagna, e che si biforca, perché da una parte si sale anche sulla Punta Sorapiss».
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