Cambiamento climatico, l’esperto: «Le piante salgono ad alta quota per sopravvivere»

Cesare Lasen: «Duecento specie hanno innalzato il loro limite altitudinale. Alcune felci si sono alzate di 500 metri. In futuro le vette saranno più erbose»

Francesco Dal Mas
Il botanico Cesare Lasen
Il botanico Cesare Lasen

I cambiamenti climatici non sono all’origine soltanto dei crolli dolomitici, delle colate e delle frane. Stanno modificando radicalmente anche la flora e la fauna. «È stato sufficiente un mese di distacchi detritici», esemplifica Cesare Lasen, «per modificare letteralmente il paesaggio boschivo e arbustivo della Val Boite. Che cosa crescerà (e quando) un domani in quelle pietraie? ».

Lasen, nato nel 1950 nell’omonima frazione di Feltre, vive alle pendici del monte San Mauro. È laureato in Scienze Biologiche. Ha lavorato al Centro ricerche termiche e nucleari a Milano, ma ha preferito dedicare gran parte della sua vita allo studio delle piante e dei fiori.

È stato a capo del Parco nazionale Dolomiti bellunesi ed è componente del Comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco. La sua umiltà lo porta a segnalare le scoperte degli altri, ad esempio dei ricercatori dell’Università di Padova e del Museo di Rovereto. Partiamo allora da qui.

«I botanici Giulia Tomasi e Alessio Bertolli – botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto – hanno scoperto sulla Cima della Moiazza, nell’Agordino, il record di quota della Campanula morettiana (2684 metri), sulla Civetta la quota più alta mai censita della Saxifraga facchinii (3215 metri), sul Pelmo uno dei record è toccato invece alla Paederota bonarota (3043 metri)».

Le temperature sempre più alte, ma soprattutto prolungate nel tempo, come in giugno, quali effetti hanno sulla vegetazione di alta quota?

«Senza entrare nei dettagli, frequentando gli itinerari più in quota possiamo constatare l’innalzamento di specie vegetali che fino a qualche anno fa non erano mai state in osservate. Cresce in altitudine anche il limite del bosco. Si riducono di numero le piante che amano gli ambienti più freddi e più lungamente innevati. Di conseguenza si modifica anche la fauna superiore, oltre al variegatissimo mondo degli invertebrati».

Un esempio?

«L’istrice mediterraneo ha raggiunto le nostre montagne».

Ci sono invece volatili o animali che rischiano di scomparire?

«Sono numerosi gli animali in sofferenza, quelli di alta quota. Tra quelli che soffrono di più c’è la pernice bianca, che si trova sempre più raramente. Ma anche lo stambecco è in condizioni di sopravvivenza. Sarebbe da studiare la relazione tra gli esemplari introdotti recentemente nel gruppo Sorapiss, Marcora, Antelao e i crolli. Come riusciranno a convivere? ».

Gli allevatori della pecora alpagota sono stati costretti a portare gli alpeggi fino a quota 1700 perché il lupo si ferma ben sotto; cerca acqua. E, quasi per reazione, si accanisce anche contro i piccoli yak.

«I piccoli nati in queste settimane, perché anche i carnivori si tengono lontani dagli yak più grandi».

Tornando alla vegetazione, al di là della casistica, qual è il trend generale?

«Dagli studi (ad esempio del Progetto europeo “Gloria”) si osserva che le specie più caratteristiche, alcune anche artico-alpine, che hanno una distribuzione legata alla durata del periodo di innevamento, stanno tutte arretrando; cercano zone più alte o comunque conche lungamente innevate. Vengono avanti le piante delle praterie sottostanti, quelle dei pascoli e delle praterie, piante erbacee che non hanno a che fare con quelle delle vallette più in quota. Questo è il fenomeno più evidente, più eclatante».

In sostanza, gli studi dei suoi colleghi del Museo di Rovereto sulle nostre montagne che cosa stanno certificando?

«Che le specie si stanno alzando in media di 3-4 metri l’anno. Nel breve-medio periodo vedremo le vette delle Alpi molto più erbose e bisogna inoltre considerare che in molti casi l’evoluzione del suolo non è così rapida e quindi le varie specie avranno un ambito altimetrico sempre più ristretto. Dalle ricerche compiute fino a un anno fa, sono oltre 200 le specie vegetali che, rispetto al passato, hanno innalzato il loro limite altitudinale massimo a livello provinciale, alcune solo di alcune decine di metri, altre anche di oltre cinquecento metri, come ad esempio alcune specie di felci (Cryptogramma crispa, Dryopteris dilatata, Dryopteris filix-mas, Diphasium alpinum, ..). Il limite altitudinale assoluto di quota per le piante in Trentino, come verificato dai ricercatori della Fondazione Museo Civico di Rovereto, è stato registrato a 3.607 metri e riguarda una piccola graminacea (Poa laxa) trovata su Punta Taviela, nel Parco Nazionale dello Stelvio».

Lei conosce le Vette Feltrine come le sue tasche. Di che cosa è rimasto più sorpreso nelle ultime escursioni.

«Pensi che ancora tre anni fa trovai per la la prima volta il Cipripedium, la Pianella della Madonna, la più bella delle nostre orchidee, la più famosa, lassù in Busa delle Vette».

È tutta responsabilità della temperatura che si alza, oppure della scarsità di neve?

«No. I cambiamenti climatici hanno componenti diverse. Un conto è l’aumento di temperatura, della durata della stagione vegetativa, che è un dato di fatto, però ci posson essere le condizioni morfologiche esterne. Ci sono, per l’appunto, gli accumuli di detriti, per cui il fenomeno non è generalizzato. Si manifesta in alcuni versanti, in alcune località. Sui versanti dove le slavine, la neve non impedisce ai nuclei di arboree di crescere, vediamo nuove colonizzazioni, anche a quote elevate, dove non eravamo abituati a vederli. Nei pascoli – mi vengono in mente le 14 malghe del Comelico – si vede chiaramente come sta venendo avanti l’arbusteto, e che i larici sono sempre isolati. Prima che arrivino gli alberi nella zona subalpina vengono gli arbusti per cui i rododendri stanno guadagnando parecchio spazio rispetto a un tempo».

Finora non abbiamo detto che anche l’uomo fa la sua parte.

«Il fenomeno è concomitante nel senso che al cambiamento climatico, al riscaldamento globale, all’innalzamento termico si sommano gli effetti dell’abbandono o della riduzione comunque del carico pascolante per cui gli arbusti prendono piede».

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