Gli effetti della pandemia pesano ancora sui salari

L’ultima analisi dell’Istat sul calo del potere d’acquisto delle famiglie nell’ultimo anno

La redazione

Le retribuzioni nel 2025 cresceranno più dell’inflazione ma per recuperare il potere d’acquisto perso con la crescita dei prezzi registrata dopo la pandemia ci vorrà ancora molto tempo.

Secondo il report dell’Istat sulle prospettive dell’economia italiana, a settembre i salari reali erano ancora di 8,8 punti inferiori a quelli di gennaio 2021. A fine anno è previsto che la crescita delle retribuzioni monetarie sia del 2, 9%, superiore alla crescita dei prezzi ma la perdita reale è ancora significativa. La stessa dinamica lo rileva anche lo studio appena pubblicato dalla Fondazione Di Vittorio secondo il quale tra il 2021 e il 2024 i salari medi del settore privato hanno perso quasi 6. 400 euro di potere d’acquisto mentre quelli del settore pubblico sono ancora indietro di 5. 700 euro.

E se i salari arrancano il mercato del lavoro è vivace con una crescita dell’occupazione in termini di unità di lavoro (Ula) che nel 2025, secondo l’Istat, sarà pari all’1, 3%, più che doppio rispetto all’aumento del Pil (0, 5%). Un dato che risente della convenienza del lavoro per le imprese e della necessità per le famiglie dell’impegno di più componenti, ma che risente soprattutto della stretta sull’accesso alla pensione con il prolungamento della permanenza al lavoro delle classi anagraficamente più alte.

«Siamo dentro a una vera e propria emergenza salariale – ha avvertito il numero uno della Cgil, Maurizio Landini – aumentare i salari non è solo un elemento di tutela dei lavoratori e del loro potere d’acquisto, ma in realtà è anche una serie di politiche economiche e industriali per far crescere il nostro Paese». Quindi «in questa direzione c’è sicuramente il tema della contrattazione, quindi del ruolo dei contratti nazionali ma anche del rapporto tra i due livelli di contrattazione che nel nostro Paese esistono – continua il segretario generale della Cgil –. C’è bisogno di andare verso un sostegno legislativo al salario e alla contrattazione».

D’altro canto «nel quadro caratterizzato da una domanda di lavoro ancora vivace – scrive l’Istat – le retribuzioni lorde pro capite hanno continuato a mantenere una dinamica positiva nei primi tre trimestri dell’anno, pur se in rallentamento su base tendenziale».

«Nel quarto trimestre ci si attende una variazione congiunturale meno dinamica rispetto al trimestre precedente; il 2025 chiuderebbe con una crescita delle retribuzioni pro capite del 2, 9%, consentendo come nel 2024 un recupero rispetto all’inflazione. Nel 2026 la crescita delle retribuzioni pro capite è attesa, in media d’anno, in leggera decelerazione (+2, 4%), riducendo i margini di recupero del potere d’acquisto perso nel biennio 2022-2023» scrive ancora l’Istat. Il tasso di disoccupazione, d’altra parte, dovrebbe segnare un miglioramento nel 2025 toccando il 6, 2% dal 6, 5% nel 2024, che proseguirebbe anche nel 2026 (6, 1%).

«Quella di oggi – insiste Landini – è una situazione assolutamente drammatica sul piano della retribuzione, al punto che oggi si è poveri lavorando». «E quando si è poveri lavorando vuol dire che c’è un sistema che è saltato, che non funziona, che è ingiusto, che non può essere assolutamente accettato e che è contrario a tutti i principi della nostra Costituzione» conclude Landini a pochi giorni dallo sciopero nazionale promosso proprio dalla Cgil il 12 dicembre. Ossia venerdì prossimo.

Riproduzione riservata © il Nord Est