Roberto, sì al fine vita in Svizzera: «Ma voglio andarmene a casa mia»

Padovano, da 19 anni affetto da un tumore cerebrale, la sua richiesta era stata respinta dall’Usl Euganea. Cinque mesi di attesa, il diniego, ora il suicidio assistito ma all’estero

Laura Berlinghieri
Marco Cappato in una manifestazione a sostegno della legge sul fine vita. Un padovano pronto ad andare in Svizzera
Marco Cappato in una manifestazione a sostegno della legge sul fine vita. Un padovano pronto ad andare in Svizzera

Una storia di attese. Cinque mesi, per Roberto, per ottenere il parere della sua azienda sanitaria, l’Usl Euganea, rispetto alla sua richiesta di fine vita. Un tempo incivile. Per questo il presidente Luca Zaia, messo a parte della situazione, ancora nell’aprile scorso aveva disposto un’ispezione, per capirne le ragioni.

L’attesa si è conclusa con il diniego della richiesta. E adesso per Roberto – padovano, 67 anni, da 19 affetto da un tumore cerebrale – si apre una nuova possibilità: quella del suicidio assistito in Svizzera. Una seconda domanda, che l’uomo aveva avanzato, per avere una sicurezza, nel caso in cui le sue condizioni dovessero aggravarsi a tal punto da non rendere più sostenibile l’attesa.

Ma, per il momento, Roberto è fermo nel rivendicare i suoi diritti: «Voglio andarmene sereno in casa mia» dice. E, riaperta la procedura con la sua Usl, promette: «Mi batterò in ogni modo per ottenere il via libera».

È il 2006 quando a Roberto viene diagnosticato un glioma diffuso, una forma aggressiva di tumore cerebrale. La patologia è irreversibile, Roberto è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, e la malattia gli provoca sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili – le crisi epilettiche quotidiane, accompagnate nelle ultime settimane dalle difficoltà motorie e dal progressivo deterioramento cognitivo –, per citare i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale per il via libera al fine vita. Manca il quarto, inteso nella sua interpretazione letterale, e quindi la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Per questo, la domanda presentata da Roberto nell’ottobre 2024 all’Usl Euganea nel maggio scorso viene respinta.

La valutazione è stata differente in Svizzera. «Si è acceso il semaforo verde vicino a Zurigo» racconta Roberto, con estrema lucidità, «ma voglio ottenerlo pure qui». Anche perché, nel frattempo, le sue condizioni si sono aggravate, inesorabilmente. «Il suo tumore può peggiorare all’improvviso, portando a una rapida perdita delle funzioni cognitive, a uno stato vegetativo e alla morte» spiega Filomena Gallo, coordinatrice del team legale di Roberto e segretaria dell’associazione Luca Coscioni, «Roberto vuole evitare questo scenario, potendo decidere lui stesso tempi e modalità della propria fine, attraverso l’autosomministrazione del farmaco, senza rischiare di perdere la capacità di scegliere». Perché, lo ricordiamo, al momento in Italia la sola pratica legale è quella del suicidio assistito, mentre non lo è l’eutanasia.

«E io voglio continuare a combattere» promette Roberto, «per me e per tutti quelli che legittimamente vogliono andarsene, nel rispetto per se stessi, ponendo fine alla propria sofferenza, senza rinunciare all’autonomia e alla dignità, che sono indispensabili per vivere». Pronto, in caso di ulteriore diniego, a tornare in tribunale. E senza nessun ripensamento. «Far diventare migliore il nostro Paese – dice – renderà più gradevole il mio andarmene».

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