I maturandi e Pasolini, un ragazzo come loro
Quando ha scritto i versi comparsi tra le tracce dell’esame di maturità il poeta aveva poco più di vent’anni. Per i giovani quelle righe potrebbero essere un regalo inestimabile

Chissà se gli studenti che si sono trovati tra le tracce dell’esame di Stato di quest’anno una bellissima poesia di Pier Paolo Pasolini hanno realizzato, aiutati dalle note ministeriali, che quei versi furono composti da un ragazzo praticamente della loro età, poco più che ventenne. Li avrebbe certamente guidati per comprendere questa «Mi ritrovo in questa stanza», che è una straordinaria operazione di senso, un saggio magistrale di come la poesia possa interpretare la natura e la vita.
Chissà se i maturandi – così si chiamavano un tempo – si sono avvicinati a questi versi seguendo le apposite indicazioni operative: presentare il contenuto, innanzitutto, poi indicare le “figure di stile” ricorrenti, quindi, solo dopo aver dato prova di disporre degli strumenti analitici di base, dedicarsi alla materia prima della poesia, la relazione che corre tra la natura e la vita del poeta, il significato della luna, infine, il «canto antico» dei grilli con cui essa si chiude.
Questi sono gli elementi che invadono i versi, e se qualcuno si fosse immediatamente precipitato su di essi senza dilungarsi sugli aspetti formali, almeno da chi scrive sarebbe stato compreso e perdonato.
Chissà se i giovani adulti e le giovani adulte di questo 2025, un anno di guerra, non qui, ma nel mondo, hanno provato a collocare nello spazio e nel tempo questo esercizio poetico, per spremerci qualche significato ulteriore.
Erano anni di guerra il 1943, 1944 e 1945, durante i quali, allontanatasi da Bologna, la famiglia Pasolini-Colussi viveva a Casarsa, nella campagna friulana allora più profonda, con il padre lontano, prigioniero in Africa. Lontana appare però in questi versi anche la guerra, anzi assente del tutto, ma di assenze (per esempio del fratello morto in quella guerra) è fatta molta dell’arte di Pasolini.
Chissà se le ragazze e i ragazzi che sono oggi nel pieno della vita sarebbero stati aiutati, nel comprendere meglio questi versi così semplici ma così enigmatici, qualche riflessione fatta da chi Pasolini l’ha letto e studiato per tutta la vita. Come Fernando Bandini che (nell’introduzione al volume da cui è tratta la poesia), riflette che per Pier Paolo la scrittura poetica è il «luogo dell’assoluto, dove ogni asserzione diventa verità, e il privato può presentarsi come un universale».
Sarebbe loro venuto in mente – magari molti l’hanno fatto – che al pari di questi versi “piccoli” tutta la grande poesia italiana, da Dante a Leopardi, anzi tutta la vera poesia di tutti i tempi, altro non è che un tentativo di cogliere l’assoluto.
Chissà se, ai ragazzi e alle ragazze che hanno fatto l’esame di Stato, questi versi, sepolti nella sconfinata produzione pasoliniana e riscattati da una traccia ministeriale, hanno fatto venire voglia di prendersi magari per la prima volta una raccolta del poeta di Casarsa e leggersela, magari la sera, magari questa estate, magari al suono di quei «grilli antichi» che, almeno quelli, sono rimasti gli stessi di ottant’anni fa.
Se così fosse, l’anonimo compilatore ministeriale avrebbe fatto loro un regalo inestimabile.
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