Val di Zoldo, le radici e la scoperta

La vita rurale, le meraviglie della natura, lo spopolamento dei paesi, le antiche fucine e l’arte del gelato

Marina GrassoMarina Grasso
La Val di Zoldo (ph Val di Zoldo Turismo)
La Val di Zoldo (ph Val di Zoldo Turismo)

Non è una terra che si concede subito: è necessario percorrerla lentamente tra i boschi fitti, borghi raccolti, antiche pievi e orridi scavati dal torrente Maè, per prepararsi alla meraviglia dei suoi panorami che si aprono all’improvviso.

La Val di Zoldo ha il fascino ruvido ma accogliente di un piccolo mondo che ha costruito la propria identità su un sapere materiale profondo fatto di ferro, legno, natura e memoria. Dove il lavoro è stato, per secoli, soprattutto il taglio del legno e la lavorazione del ferro estratto nelle miniere, poi segnato dal declino di quell’economia e dai grandi esodi.

Ma che da qualche decennio, grazie anche al comprensorio Ski Civetta che ha rilanciato il turismo invernale con ricadute su quello estivo, ha riscoperto il suo fascino non solo naturalistico, ma anche nei segni del lavoro dei suoi abitanti.

 

Il nostro viaggio

Si può cominciare a leggerli a Forno di Zoldo, un tempo cuore pulsante dell’attività siderurgica che deve il suo nome proprio alle antiche fucine, e che oggi racconta quella storia nel Museo del Ferro e del Chiodo.

Da Forno, risalendo la valle in direzione di Zoldo Alto, una breve deviazione porta a Brusadaz, dove due antiche miniere abbandonate sono ormai inghiottite dalla vegetazione. Ma proprio dal centro del delizioso paese comincia a svelarsi un’altra storia, quella di una valle dedita all'agricoltura e al pascolo.

Andando verso ovest si arriva a Costa e, passeggiando tra i prati s'incontra il più antico tra i tabià, i fienili in legno della zona: il maestoso Mas di Sabe, del XVI secolo. Proseguendo si raggiunge Coi, antico borgo magnificamente conservato che offre panorami unici su Pelmo e Civetta e preziosi esempi di architettura dolomitica. Sempre partendo da Forno, pochi chilometri verso ovest, nella luminosa valle di Goima, il museo etnografico di Molin raccoglie oggetti, ambienti e racconti che restituiscono la vita contadina di un tempo.

Più a nord, i minuscoli borghi di Colcerver e Cercenà, quasi disabitati, sono raggiungibili a piedi da Pralongo o da Dont: case, muretti e fontane emergono tra i prati come frammenti di un mondo rurale che resiste.

Verso est, sulla strada per Passo Cibiana, Fornesighe sorprende con le sue case di legno e pietra addossate tra scale esterne, ballatoi fioriti e cortili, testimonianze di un abitare collettivo nato dalla necessità di essere comunità: camminare tra i suoi vicoli è come entrare in un organismo vivo, modellato nei secoli, che oggi si rigenera con l’accoglienza turistica.

Continuando verso Passo Cibiana, un sentiero si stacca dalla statale e, con una facile passeggiata nel bosco, arriva ad Arsiera, nato come borgo minerario secoli fa, poi diventato villaggio rurale estivo e abbandonato dopo la devastante alluvione del 1966.

Da minatori a gelatai

Ma lo svuotamento dei paesi, in Val di Zoldo, è iniziato molto prima: il tramonto dell’attività mineraria già alla fine dell’Ottocento portò molti zoldani e cadorini nelle città dell’Impero Austroungarico. E lì impararono l’arte del gelato: iniziarono come ambulanti, poi avviarono le loro gelaterie e assunsero altri compaesani che, a loro volta, portarono il gelato in tutta Europa e nel mondo.

E se oggi Pecol è un piccolo e vivace centro turistico, da cui partono moderni impianti sciistici e incantevoli sentieri verso la Val Fiorentina, il paese custodisce anche la memoria dei tanti gelatieri che hanno creato una nuova economia che ha permesso di costruire case, alberghi e piste da sci.

Perché la Val di Zoldo è anche questo: una terra di donne e uomini che hanno portato nel mondo un pezzetto della loro storia, ma hanno anche mantenuto salde le loro radici e che stanno richiamando nella loro spettacolare valle, d’estate come d’inverno, sempre più ospiti desiderosi di scoprirla. 

Una grande rete escursionistica

La Val di Zoldo, a un’ora d’automobile da Cortina a un’ora e mezza da Venezia, è racchiusa tra Pelmo e Civetta, a nord del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Val di Zoldo è anche il nome del Comune nato, nel 2016, dalla fusione tra quelli di Zoldo Alto e Forno di Zoldo. Negli uffici turistici di Pecol e Forno, schede e mappe per percorrere la grande rete escursionistica, dettagliata anche nel ricco sito internet valdizoldo.net.

Il Museo del Ferro e del Chiodo

Il Museo del Ferro e del Chiodo, ospitato nell’antico palazzo del Capitaniato a Forno di Zoldo, racconta la storia dei ciodaròt, i fabbri-chiodai che per secoli hanno forgiato chiodi e utensili per la Serenissima ma apprezzati anche in tutta Europa. E che plasmarono così la vita, l’economia e persino i toponimi della Val di Zoldo.

Il Museo è aperto regolarmente da luglio a settembre. Info e visite guidate: telefonare al numero 0437 78144 (int.1.)

 

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