Zucchero all’Euganeo di Padova accende il sole della musica: show per 25mila
Platea per la prima volta con i sedili, ma il pubblico salta in piedi lo stesso. C’è chi è arrivato sotto il palco subito dopo le nozze. E il bluesman se la prende con Bezos: «Cosa viene a rompere i c…?»

Un’overdose di (bella) musica. Trentasei anni dopo lo storico concerto all’Appiani, Zucchero torna a Padova e illumina lo stadio Euganeo per oltre tre ore di show senza indugi. Con in testa l’inevitabile cappello a cilindro, all’occorrenza la fedele chitarra in braccio, ripercorre le tappe di una carriera di successi (60 milioni di dischi venduti e concerti in tutto l’orbe terracqueo), una vita di grandi soddisfazioni e pure qualche ferita. Per reinventarsi, tra la via Emilia e New Orleans.
Una manciata di pezzi del gruppo spalla Bluemood, “Oh, Doctor Jesus” di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong intonata dalla corista Oma Jali, e finalmente – alle 21, 15 – il bluesman di Roncocesi compare sul palco. Sceglie l’irresistibile “Spirito nel buio” per iniziare, ed ecco “Soul Mama”. L’accoglienza del pubblico è un abbraccio, caldo come la serata di ieri: in città c’erano più di trenta gradi. La tensione rimane alta con “Il mare impetuoso al tramonto…”, dal fortunatissimo lp “Oro incenso e birra”.
Zucchero è in formissima. Sotto l’ombra del cappello è malcelata la sua vena malinconica, la voce è inconfondibile. Le labbra disegnano il sorriso compiaciuto di chi ha di fronte a sé quasi 25mila fan. Tra loro i neosposi Giovanna e Diego che festeggiano il loro “sì”.

Un pubblico eterogeneo per età, con una lieve prevalenza di “over anta” cui non dispiace la scelta dell’organizzazione di predisporre – per la prima volta nella storia dei concerti nell’impianto – una platea con sedili numerati invece del tradizionale parterre in piedi. Tanto poi ci si alza lo stesso e si salta: succede su “Partigiano reggiano”, come su “Vedo nero”.
La scenografia gioca un ruolo fondamentale, l’enorme ledwall a forma di sole sul fondo trasforma lo stadio in una cattedrale della musica.
Poi il ritmo rallenta: spazio alle ballad. Difficile trovare un artista che abbia nel suo repertorio così tanti brani di primissima qualità. “Un soffio caldo”, “Miserere”, “Dune mosse”, “Diamante”. Tutti presenti nella scaletta del tour “Overdose d’amore”. Per non parlare della qualità della band. È extra large: 11 musicisti, molti al suo fianco da tempo, capitanati da nientemeno che Polo Jones, bassista dei numeri uno mondiali con il groove nel sangue. E, da notare per la rarità, band con due batteristi, uomo e donna: lui pensa alle fondamenta, lei ci ricama sopra con un’ampia tavolozza di colori – ma la regola è fatta per essere infranta.
Zucchero lascia il giusto spazio agli strumentisti, quel tanto di libertà a ciascuno che rende irripetibile ogni performance. Dialoga intelligentemente con loro attraverso il linguaggio che conosce meglio, le emozioni in note.
D’altronde ci sarà pur un motivo per cui lui, 69 anni ancora per poco, blues fino al midollo, è il primo artista occidentale a essersi esibito al Cremlino dopo la caduta del muro di Berlino, l’unico italiano ad aver partecipato al festival di Woodstock nel 1994, a tutti gli eventi del 46664 per Nelson Mandela e al Freddie Mercury Tribute nel 1992. E le vacanze con Paul Young, il minestrone con Miles Davis, le Guinness con Russell Crowe, la stima di Bono Vox, l’amicizia fraterna con Sting. Poi Clapton, BB King, Pavarotti. Sono nate collaborazioni, duetti che sono esperienza dell’incontro, arte della contaminazione – mica la somma dei follower.
E questo è il bagaglio che Sugar porta all’Euganeo. Dove si canta e si “Baila… sotto questa luna piena”. Passa abilmente da brani leggeri leggeri, ironici, a poesie di rara bellezza. Pezzi entrati nella memoria collettiva del Paese.
A metà concerto rimane solo, si posiziona sulla “prua” del palco, seduto su una sedia che sa di trono, armato della solita chitarra. È il momento dell’intimità: come fossimo in osteria, manca solo il lambrusco. E Sugar ne approfitta per dire una cosa: «Sono legatissimo a Padova, è una questione di chimica. E questa sera sono molto emozionato» ammette, aggiungendo con tono più greve: «In questo mondo siamo messi male, abbiamo a che fare con cinque o sei spermatozoi venuti male, gente che ammazza i bambini. Io voglio cantare la libertà e la pace». Poi se la prende con Bezos: «Se si è già sposato cosa viene a rompere i c…?». Continuando così nella tradizione - spesso osteggiata - per cui il cantante canta sì, ma dice pure come la pensa.
Riprende la musica: qualche brano, tra i più intensi, e torna la band, torna il coinvolgimento totale del pubblico. Il boss si prende una pausa, lascia i musicisti soli per alcune cover, gli Stones e Tina Turner. Poi torna per il gran finale. “X colpa di chi? ” e “Diavolo in me”, tenute a ragione verso la chiusura. Poi la chicca definitiva, “Hey man”.
Insomma, a Padova, come un po’ dappertutto, il concerto di Zucchero è un trionfo. La conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che l’anima del blues non invecchia: cambia pelle, si sporca di mondo. Ma resta autentica. Come lui.
Riproduzione riservata © il Nord Est