Venti anni fa moriva Sergio Endrigo, cantautore e poeta raffinato
Il ricordo della figlia Claudia. Un suo erede? «Diodato, nelle sue canzoni si ritrovano la stessa delicatezza, la stessa poesia e l’eleganza»

Il 7 settembre 2005 moriva a Roma Sergio Endrigo, cantautore e poeta raffinato, uomo riservato, gentile ed elegante mai dimenticato nel Paese.
Popolarissimo negli anni Sessanta e Settanta, vinse Sanremo nel 1968 con il brano “Canzone per te”, interpretata in abbinamento con il cantante brasiliano Roberto Carlos, ma tuttora amato e ascoltato in Italia e all’estero.
La sua è sempre stata una musica intensa e malinconica, i testi delicati racconti di emozioni, memorie, ricordi, anticipazioni di temi difficili, declinati con eleganza e delicatezza.
Certamente furono anche ispirati dalla biografia segnata da ferite della grande Storia. Era infatti nato nella Pola italiana nel 1933. Una terra che lasciò a bordo del piroscafo Toscana assieme alla madre, al fratello e a migliaia di profughi che furono costretti all’esodo istriano-dalmata.

Per ricordare i vent’anni dalla scomparsa viene ripubblicato il suo unico romanzo “Quanto mi dai se mi sparo?” (Baldini & Castoldi, pagg, 192 euro 18) con una prefazione del cantante Enrico Ruggeri.
Ironica e d’impatto la copertina alla James Bond, e ristampata la biografia scritta dalla figlia Claudia “Sergio Endrigo, mio padre. L’artista gentiluomo” con prefazione di Francesco De Gregori sempre per Baldini & Castoldi (pagg. 560, euro 23).
Il romanzo è uno spietato e ironico viaggio che attraversa il mondo della musica leggera con venature noir, colpi di scena e uno sguardo privo di indulgenza. Affronta il tema del successo che svanisce e subentra il grigiore di tournée in balere e teatri di provincia nella miseria di pochi spettatori.
Protagonista è Joe Birillo, cantautore cinquantenne ormai in declino, che si sente fuori moda, superato e inutile, travolto dalla musica commerciale dei giovani.
«Credi che il successo durerà per sempre e un bel giorno ti accorgi che tutto è cambiato, che tu non c’entri più niente con tutto quello che si trasmette alla radio, che si vede in televisione. Dove hai sbagliato? È il tempo inesorabile».
Una vita triste e perdente. La sua casa discografica non lo sostiene. Al colmo della disperazione Joe concepisce una trovata estrema: quella di suicidarsi in diretta.
«La morte? Poteva essere un’idea assoluta, definitiva» un evento mediatico da vendere bene. Merce ben piazzata per un lungo momento di popolarità.
«Pare un romanzo scritto ieri» è il commento della figlia Claudia che da anni è affettuosa custode e promotrice dell’opera e della memoria del padre.
«Così come sono attuali i testi delle canzoni, alcune delle quali popolarissime come “Io che amo solo te”, altre meno note come “Bassi fondali”: («Tempi complicati i nostri tempi, difficili da interpretare, si naviga adagio, basta uno scoglio per squarciare i fianchi delle bianche grandi navi»). E in quelle canzoni piede di profondità ha trattato anche il tema del femminicidio (Via del Broletto 34).
Alla fine degli anni Sessanta dichiarava che i cantanti potevano soltanto dire di “no”, poi, però, erano le case discografiche e gli impresari, “mercanti di carne umana” che decidevano tutto e per tutti.
Un romanzo certo autobiografico: «Rileggendolo ho capito quando ci fosse di lui in Joe» continua la figlia. Grazie a quei testi Endrigo ra definito il cantautore del futuro. «L’arca di Noè (1988) – prosegue la figlia – anticipa i temi ecologisti e ancora “Fare festa” del 1996 parla dell’integrazione di culture. Il romanzo è un viaggio tra musica, emozioni e provocazioni, che lascia al lettore la domanda: fino a che punto siamo disposti a pagare per restare al centro del palcoscenico? Endrigo non credeva nella nostalgia, credeva piuttosto nella memoria.
E proprio i ricordi che appartengono alla sua infanzia a Pola sono diventati i protagonisti del racconto breve dal titolo “L’educazione di Boris Falaguna» la sua testimonianza.
Un racconto che è stato inserito da Claudia nella biografia, un volume necessario.
«La mia – le sue parole – era una città di mare, ancora odorosa di catrame e di spezie, di fritti e di maree. Il mare era limpido come cristallo, brulicante di pesci, e il cielo era puro, attraversato da uccelli, ma tutto questo non fa la felicità degli uomini».
Endrigo non conobbe il campo profughi, giunse prima a Venezia e poi si trasferì a Grado da parenti dove visse per alcuni mesi nell’estate del 1947.
E proprio sull’Isola d’oro è stata sepolta la madre di Sergio Endrigo, Claudia Smereglia. Un suo erede? «Diodato».
Non ha alcun dubbio la figlia, che proprio nelle canzoni di quell’artista ritrova la stessa delicatezza, la stessa poesia e l’eleganza di testi e di interpretazione che hanno caratterizzato le canzoni di suo padre.
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