La mostra che racconta il “mondo nuovo” con le vedute del pre cinema

La mostra alla Fabbrica del Vedere di Venezia: vedute del Settecento, cimeli, memorabilia

Elena Grassi
Una tra le "vedute" in mostra
Una tra le "vedute" in mostra

Alla fine del film Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores (2023), in una Venezia albeggiante e affollata di fine Settecento, da sotto il ponte dei Sospiri un imbonitore (l’attore padovano Riccardo Gamba) grida «Il mondo novo! Il mondo novo!».

Rivolto a Casanova, l’esclamazione significa: «Il tuo tempo è finito, arriva una nuova epoca», mentre rivolto al popolo è un richiamo: «Venite a vedere immagini del mondo che ancora non conoscete!».

Allora la gente si affolla verso una sorta di grande scatola di legno (probabilmente il pantascopio o un cosmorama), che attraverso un dispositivo ottico, con specchi e pannelli, consentiva di sbirciare, da una fessura, riproduzioni di città o luoghi ameni come fossero le cartoline dell’epoca.

Scena peraltro ammirabile anche al museo veneziano di Ca’ Rezzonico, dov’è conservata l’opera di Tiepolo Il Mondo Novo (1791), che nel mostrarci la concitazione degli astanti, tutti di schiena a premere per poter vedere l’inimmaginabile, suscita in noi grande curiosità e voglia di capire cosa appassionasse così tanto questi spettatori del cinema ante-litteram.

Un’occasione unica per scoprirlo è alla mostra “Vedute d’ottica”, aperta alla Fabbrica del Vedere, lo spazio espositivo dell’Archivio Carlo Montanaro a Venezia (in calle del Forno, Cannaregio 3857).

Dodici opere originali settecentesche di vedute d’ottica, ovvero fogli di carta (circa 40 centimetri per 30), su cui sono stampate le immagini da inserire nel “mondo novo”, e che l’allestimento dedica all’iconografia del capoluogo veneto, come San Marco, Palazzo Ducale, ma anche l’allora ponte del Carmine e Canal Grande, finanche un ballo mascherato.

Tavole dettagliatissime, come i dipinti del vedutismo, che si ottenevano “catturando” il panorama con la camera oscura (o camera ottica), antesignana della macchina fotografica, da cui si ricavavano matrici in rame per stampare le immagini in bianco e nero. A mano e a proprio piacimento, chi gestiva il “mondo novo” le colorava, ottenendo un effetto ancora più strabiliante e visivamente affascinante.

In mostra c’è un zogroscopio, strumento “casalingo” in mogano che, grazie all’incastro tra uno specchio a 45 gradi e una lente d’ingrandimento, permetteva di potersi godere in privato lo spettacolo delle vedute ottiche, comprabili nelle antiche stamperie, come la Remondini di Bassano del Grappa.

A testimoniare la scena troviamo esposta un’incisione originale ottocentesca raffigurante una nobildonna che guarda una veduta ottica assieme al suo bambino attraverso lo zogroscopio nella loro dimora.

«Il percorso propone una selezione tra un centinaio di vedute ottiche su Venezia che abbiamo in archivio», spiega il curatore Carlo Montanaro, «che abbiamo scelto per rendere l’idea della ricerca di una visione tridimensionale, grazie alla prospettiva, alla colorazione, e alla possibilità, in un secondo momento, di traforare parti dell’immagine stampata su cartone, come le finestre o i lampioni, per ottenere un “effetto notte” se retroilluminata. Il periodo delle vedute ottiche è una tappa importante nella storia del pre-cinema, che l’archivio permette di scoprire conservando dai più antichi strumenti di proiezione, come le lanterne magiche, fino a una pellicola originale dei Lumière del 1896, con la ripresa del Canal Grande».

La biblioteca di Montanaro conta seimila volumi dal Seicento ai giorni nostri sulla storia della visione, ma anche 15mila film della storia del cinema, oltre duecento macchine da presa e proiettori d’epoca dal 1905 a fine secolo, nonché cimeli e memorabilia, come un pannello da biglietteria degli anni Trenta (con indicato, oltre al primo e secondo tempo, anche la trasmissione del Cinegiornale) o un fonografo a tromba di cento anni fa.

Un tesoro illustrato nel volume appena uscito per Antiga Edizioni La fabbrica del vedere: dalla collezione Archivio Carlo Montanaro con le fotografie di Francesco Barasciutti e l’introduzione di Roberto Cicutto. La mostra è aperta con ingresso libero fino al 25 gennaio da martedì a domenica dalle 17 alle 19 (chiuso il 25 dicembre e 1 gennaio).

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