La Trieste letteraria arriva alla Mostra del cinema grazie alle donne
“Un anno di scuola” di Samani porta a Venezia un racconto di Giani Stuparich: le trasposizioni sul grande schermo di autori triestini devono molto alle donne

La Trieste letteraria al cinema salvata dalle donne. Una delle due registe italiane della prossima Mostra di Venezia, la 35enne triestina Laura Samani (pluripremiata per il suo esordio di quattro anni fa, “Piccolo corpo”) presenterà al Lido il 31 agosto il suo atteso “Un anno di scuola”, girato in città e ispirato all’omonimo racconto del 1929 di Giani Stuparich.
Dallo stesso testo Franco Giraldi aveva tratto nel 1977 un film per la tv, uno dei più amati dei diversi derivati dalla letteratura triestina. Ma prima di questa nuova versione di “Un anno di scuola” della Samani, per trovare un altro film di finzione ispirato alla gloriosa biblioteca cittadina bisogna andare indietro di trent’anni, al film di un’altra regista donna, Cristina Comencini, “Va’ dove ti porta il cuore”, tratto dal bestseller di Susanna Tamaro (in mezzo, i film di e su Pressbuger e “Il viaggio della signorina Vila” di Elisabetta Sgarbi, ispirato a Slataper, che però sono documentari).
Il cinema letterario di ispirazione triestina deve dunque tanto alle donne e allo sguardo femminile, e questo per più ragioni. Innanzitutto perché la stessa letteratura della stagione aurea di questa città – letteratura di crisi e insieme aperta alla modernità – aveva al centro il cambiamento sociale, con figure di donne più forti, libere ed emancipate che altrove.
“Un anno di scuola” di Stuparich, come noto, parla dell’unica ragazza nell’ultima classe, tutta maschile, di un liceo triestino del 1909. Poi, “Trieste e una donna” (1910-1912) è il celebre titolo di una parte del “Canzoniere” di Umberto Saba. E donne inquiete o inafferrabili sono il grande enigma delle peregrinazioni, nella Trieste di inizio ‘900, dei vulnerabili protagonisti maschili dei romanzi di Joyce e Svevo.
E proprio alla figlia di Svevo, Letizia Fonda Savio, donna intelligente e cocciuta, si deve il fatto che sia nato un filone cinematografico dalla letteratura triestina, con storie ambientate e girate in questa città. Quando nel 1960, un anno prima del centenario di Svevo, il regista Mauro Bolognini e il produttore Moris Ergas decisero di trasporre “Senilità” (1898), i finanziatori francesi e americani del film volevano spostare l'azione a Venezia per ragioni commerciali. Ma Letizia si oppose e il film si girò così, nell'autunno 1961, nella città del romanzo, primo cine-adattamento del grande scrittore.
Quella di riuscire a imporre all’epoca il ciak a Trieste, non fu un’impresa facile. In precedenza non era stato questo l’esito della prima trasposizione di un romanzo della letteratura triestina, “L’onda dell’incrociatore” (1947) di Pier Antonio Quarantotti Gambini, ambientato fra le canottiere galleggianti del porto e un successo in Francia per Gallimard. “Les régates de San Francisco”, il film che ne trasse nel 1960 Claude Autant-Lara, dopo diversi sopralluoghi a Trieste fu alla fine girato in Costa azzurra.
Quel gesto coraggioso di Letizia Svevo Fonda Savio, pur accerchiata dal mondo maschile del cinema italiano, cambiò così il corso delle cose, contribuendo al mito culturale della città, che negli anni ’60 stava vivendo anche una nuova originale stagione letteraria. Con “Senilità” di Bolognini, per la prima volta un romanzo triestino veniva non solo “letto”, ma “visto” nei luoghi che raccontava, con un risultato che apparve subito sorprendente.
Un critico sensibile come Tino Ranieri scrisse: «Trieste è emozionante. Sono bastate poche inquadrature per confermarci l'internazionalità di questi nostri ambienti, nei quali giornalmente transitiamo con indifferenza, la loro ruvida fotogenia, le mille ispirazioni di una “città drammatica”».
A “Senilità” seguirono così “Un anno di scuola” (1977) di Giraldi (da Stuparich), “Ernesto” (1978) di Samperi (da Saba), “La città di Miriam” (1983) di Aldo Lado (da Tomizza), il film tv “La coscienza di Zeno” (1988) di Sandro Bolchi, e “Va’ dove ti porta il cuore” (1996) di Cristina Comencini (dalla Tamaro). A cui vanno aggiunti nei primi anni Duemila due “omaggi” internazionali alla Trieste “di carta”, ma non tratti da questa: “Le stade de Wimbledon” del regista e attore di culto Mathieu Amalric, dal libro del romano Del Giudice su Bobi Bazlen; e il femminile “Nora”, che la regista irlandese Pat Murphy ha dedicato alla vita triestina della moglie di Joyce.
In questo contesto, la scelta di Laura Samani di riproporre ora al cinema “Un anno di scuola” (una scelta maturata a suo tempo dalla lettura del racconto, non dalla visione del film di Giraldi), attrae per più motivi. Intanto Trieste dopo lungo tempo ridiventa set autentico di vicende legate alla sua storia e alla sua letteratura, dopo tante ambientazioni fittizie o pretestuose dovute alla sua fotogenia. Non più sfondo di cartapesta, dunque, ma città reale.
Poi, il fatto di voler adattare proprio quel racconto, valorizza il messaggio etico di Stuparich e la sua bruciante attualità. Nel film della Samani, infatti, l’originale situazione di inizio ‘900 viene trasferita nella Trieste del 2007 e 2008, adattando quel lontano “ultimo anno di scuola” alla biografia della giovane regista. Per far capire, dopo un secolo, ieri come oggi, «quanto costa per una ragazza la sfida di crescere in un mondo dominato dagli uomini».
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