L’ultimo film prodotto da Lynch in prima mondiale a Locarno
S’intitola “Legend of the happy worker” ed è un film con una trama semplice, raccontata in modo semplice e destinata a un pubblico semplice, come lo ha definito il suo stesso regista Duwayne Dunham. Lo abbiamo visto per voi

“Legend of the happy worker” è un film con una trama semplice, raccontata in modo semplice e destinata ad un pubblico semplice, come l’ha definito il suo stesso regista Duwayne Dunham, ma resterà nella storia come l’ultimo film a cui ha lavorato il grande David Lynch, in veste di produttore esecutivo, prima della sua morte, avvenuta il 16 gennaio scorso a Los Angeles.
L’anteprima a Locarno
L’opera è stata presentata in anteprima mondiale al Festival del cinema di Locarno, denunciando già nel sottotitolo il suo intento “una favola per i nostri tempi”, anche se l’ambientazione ottocentesca ci riporta al genere western e la vicenda si svolge in una cava del Gran Canyon. Qui l’onesto e allegro operaio Joe (Josh Whitehouse) viene casualmente messo a capo dell’organizzazione che gestisce il cantiere, assaporando i vizi del potere, morali e materiali.
Da qui un rocambolesco percorso di redenzione lo porterà a rivalutare i parametri della sua felicità e a redimersi nel bene che, come in tutte le favole che si rispettino, vince sul male.
Gli evidenti e divertenti anacronismi svelano le metafore narrative: l’escavatore che minaccia l’esubero perenne dei lavoratori simboleggia le paure per l’avvento dell’intelligenza artificiale, il risiko e l’accentramento dei grandi capitali avviene nel gioco d’azzardo del Saloon, la televisione (vedi comunicazione digitale) trasmette un solo canale e insegna alle nuove generazioni una sola lingua.

Un progetto che viene da lontano
Il progetto ha origini lontane, nel sodalizio artistico che lega Lynch e Dunham, montatore ai tempi di “Velluto Blu” (1986), passando per il capolavoro seriale “I segreti di Twin Peaks” (1990) e “Cuore Selvaggio” (1990).
«Lynch era interessato originariamente al progetto trovandoci qualcosa di suo e lo aveva immaginato come una serie televisiva», svela il direttore artistico del festival di Locarno, Giona A. Nazzaro, «man mano che ci rifletteva però questa serie televisiva diventava sempre più lunga, e poi è noto che il maestro si prendesse i suoi tempi per finalizzare processi e decisioni. Quindi io credo che di Lynch rimangano in questo film soprattutto i temi delle conversazioni avute con Dunham in tantissimi anni, e il fatto di affidargli la regia, ritagliandosi il ruolo di produttore esecutivo, dimostra la sua volontà di non abbandonare il progetto, nonostante nell’ultimo periodo della sua vita fosse più interessato alla falegnameria, all’arte contemporanea, e ad altre attività lontano dal set».

Una realizzazione a ostacoli
La realizzazione del film, proprio come il suo protagonista, ha dovuto attraversare non poche peripezie, dall’interruzione per la pandemia, alle difficoltà per il completamento del finanziamento, alla scomparsa di Lynch, ricordato nella dedica finale come l’ispiratore creativo del mondo di “Legend of happy worker”. Un mondo che torna alle origini, all’infanzia, e alle infinite possibilità dei nostri sogni.
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