Stefano Nazzi e il suo Predatori a Pordenonelegge: «I serial killer sono come i leoni nella savana»

Il giornalista racconta i grandi criminali americani del Novecento, da John Wayne Gacy a Big Ed. «Una stagione terribile, che ebbe il soprannone di epidemia

La redazione
Stefano Nazzi FOTO COZZARIN
Stefano Nazzi FOTO COZZARIN

«I serial killer sono come i leoni nella savana. Avvertono la stessa sensazione di eccitazione di quando identificano la preda». Dentro “Predatori”, il libro Mondadori di Stefano Nazzi — uno dei narratori italiani più applauditi dalla folla dei podcast — vi trovano rifugio i criminali americani più efferati, ormai a riposo eterno, che dal Sessanta agli anni Novanta hanno fatto a pezzi migliaia di innocenti.

«Un fenomeno che ebbe il soprannome di “epidemia”, una stagione terribile con numeri pazzeschi: 605 assassini nei Settanta, 768 negli Ottanta e 669 nei Novanta — racconta l’autore con la sua ormai riconoscibile voce — fortunatamente poi accadde qualcosa per cui fu scoperto un vaccino e il virus calò d’intensità. Nel decennio 2000-2010 gli sterminatori scesero a 371 e, in quello successivo, a 117. Il motivo? La tecnologia si rivelò essere un ottimo alleato Fbi».

Nelle 244 pagine del volume, presentato in anteprima nazionale a pordenonelegge, scorrono con il piglio di un romanzo, personaggi tristemente celebri delle cronache Usa di un tempo in bianco e nero. «Quasi tutti — precisa Nazzi - con un elevato Qi, ben sopra la media». Qualcuno di loro, per confondere le idee, dava risposte più banali di quelle che avrebbe dato senza un poliziotto davanti. Il genio del male, no?

Surreale è l’epopea di John Wayne Gacy, che sotterrò nel giardino di casa decine e decine di ragazzi, un tizio assolutamente insospettabile che quando arrivò nel suo paese la moglie del presidente Carter fu scelto per accompagnarla in giro, essendo uno stimato iscritto del partito democratico.

«Se volete capire l’artista, guardate l’opera». John Douglas, uno che studiò a fondo il cervello dei pazzi, suggerì questa metodologia, aggiungendo: “Pensate come loro, entrate nelle loro menti”.

Big Ed teneva in casa la testa della madre e la usava per giocare a freccette. «Ecco, aggiungo un particolare non trascurabile — dice Nazzi — ovvero la loro incredibile capacità di manipolare le persone. Edmund ispirava fiducia alle vittime». Dice di lui Douglas: “Non sarei onesto se non dicessi che Ed mi piaceva, era affabile, aperto, sensibile e aveva un incredibile senso dell’umorismo”.

Vien da chiedersi cosa accese la psiche dei killer proprio in quel preciso periodo storico di metà/fine Novecento. Spiega Stefano Nazzi: «Sicuramente contribuirono la ferocia della guerra del Vietnam, il dilagare della pornografia e la diffusione della violenza attraverso una cultura americana che predicava crudeltà».

Compare tra le pagine scure (tralascerei le chiare, per ovvie ragioni, nonostante la scrittura sia davvero avvincente) anche una parola inquietante: “triade oscura”. Un cocktail letale di narcisismo, machiavellismo e psicopatia, ovvero l’assenza di rimorso, che i serial killer amano gustare all’ora del tramonto. 

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