Lo scrittore egiziano Ala al-Aswani: «Regeni, una vita spezzata»
Una delle oltre cinquanta anteprime di pordenonelegge è la sua. E lui lancia lo sguardo su Giulio: «Una storia davvero triste e drammatica. Nel mio Paese decine di migliaia di prigionieri politici vengono torturati»

Ala al-Aswani è un sessantottenne scrittore egiziano le cui opere stanno in bell’ordine sugli scaffali di moltissime biblioteche mondiali, almeno da quando quest’uomo, che in realtà di mestiere fa il dentista, pubblicò “Palazzo Yacoubian”, il titolo più venduto del mondo arabo dei primi Duemila, sguardo severo sulla corruzione e sull’ipocrisia religiosa.
Una delle oltre cinquanta anteprime di pordenonelegge è la sua: “Ad Alessandria gli alberi camminano” (Feltrinelli), è una sosta intrigante in un ristorante della città, l’Artinos, salotto gustoso del 1964 frequentato da personaggi curiosi che cercano d’integrarsi chiacchierando.

«L’urbe ai piedi del faro, al tempo, era cosmopolita e un chiaro modello di tolleranza— spiega l’autore — e non esistevano stranieri guardati con timore o, ancora peggio, con diffidenza. Esisteva una cultura civilizzata, un’accettazione spontanea. Lo straniero diventava parte del gruppo, con naturalezza, ed era definito “egiziano di origine europea”».
Flashback. Metti una sera del maggio 2012, al Giovanni da Udine. Sul palco scorre la premiazione del “Premio Terzani” e il dottor al-Aswani sta accanto ad Angela Terzani in attesa di sollevare il trofeo. «Ricordo con particolare piacere quell’evento. Ogni qualvolta ti rendono onore è un riconoscimento al tuo sacrificio. Diventare scrittore è una fatica. Spendi ore e ore al giorno curvo a lavorare, mentre fuori tutto vive. È, però, un magnifico isolamento che ognuno di noi si costruisce. Io non decido quando cominciare a creare. Dipende dalla sensazione dominante. Si tratta di un accadimento spontaneo. Per mesi pensi ai dettagli e poi, d’improvviso, la storia te la ritrovi davanti. Isabelle Allende diceva: “I racconti mi cadono in testa come fossero una mela”».
Lei crede che prima o poi sapremo la verità sulla tragica morte di Giulio Regeni?
«Una storia davvero triste e drammatica. Incontrai Regeni a Il Cairo è mi rimasero impresse alcune doti indiscusse: Il suo essere un brillante intellettuale, un gentleman, un ragazzo onesto. Mi sento male solamente al pensiero di come sia stata brutalmente spezzata quella giovane vita. Qui stiamo parlando di una grave violazione dei diritti umani. Nel mio Paese decine di migliaia di prigionieri politici vengono torturati e questi sono fatti, signori, non opinioni. E, ci si chiede, come mai tutto ciò non abbia fine. In Occidente gli interessi economici e politici hanno più valore delle persone e il dilagare della violenza si potrebbe spiegare così. L’Egitto, comunque, merita la democrazia - e il mio non è un ottimismo romantico, sia chiaro — per aver messo in atto una rivoluzione grandiosa. Milioni di ribelli sono ancora lì: il sogno resiste e il futuro è dalla nostra parte perché noi vinceremo».
Giustamente è il suo romanzo a meritare il proscenio qui alla festa del libro e delle libertà. Un titolo interessante, magari da spiegare.
«Fa riferimento a una storia araba, ancor prima dell’Islam, che racconta di una donna yemenita con una capacità eccezionale: lei riusciva a prevedere con esattezza l’arrivo del nemico con due giorni di anticipo. La sua tribù era sempre vittoriosa nelle guerre. Un giorno la donna disse: “Vedo gli alberi che camminano”. Nessuno le diede retta, tutti pensarono che ormai la maga avesse smarrito il fluido, ma la sua profezia si avverò. I soldati nemici avanzarono con addosso, appunto, le fronde degli alberi per non farsi notare. E c’è un evidente riferimento a uno degli abitanti del libro».
Dell’esplosiva e benefica cultura della metà del Novecento ad Alessandria cosa è rimasto?
«Nulla. Solamente scorie, germi di un qualcosa di non visibile, anche se io riesco a percepirne l’atmosfera e mi riferisco al sapere civile di allora. Vorrei aggiungere il senso del romanzo, se mi è permesso. Non è un’analisi che elenca fattori e conseguenze, no, è una partecipazione il più reale possibile all’esistenza dei personaggi, attraverso i quali avrete la possibilità di costruire la Storia di quel preciso periodo, a mio avviso, unico e irripetibile».
Lei ora vive in America…
«Devo ammettere che a me non piace al-Sisi e io non piaccio a lui. In passato insegnavo all’università di Princeton e, finiti i corsi, tornavo a casa. Ma appena il presidente si insediò a me fu subito vietato di scrivere in Egitto e quando furono prese di mira le mie figlie decisi di lasciare il Paese. Era il 2018».
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