L’arte del rugby, la provincia veneta e il suo miracolo ovale: lealtà, gruppo, fatica

Un volume di Andrea Passerini e Andrea Rinaldo celebra e ricostruisce uno sport che è radici, identità e storia. Con saggi di Gherardo Ortalli, Umberto Curi, Gianluca Barca e Luciano Ravagnani

Fabrizio Brancoli
Il rugby non fa brillare i singoli ma illumina la comunità
Il rugby non fa brillare i singoli ma illumina la comunità

Il rugby non è uno sport per superstar. Niente glitter, niente luci a occhio di bue. Josh van der Flier, Ardie Savea e Pieter-Steph du Toit sono gli ultimi tre premiati in ordine di tempo come migliori giocatori del mondo. Un irlandese nel 2022, un neozelandese un anno dopo, un sudafricano un anno fa. Sono dei fuoriclasse senza pari ma su di loro non si accendono fari mediatici senza pari come per Ronaldo, Djokovic o LeBron James. Perché vengono da un gioco diverso e speciale. Il rugby non fa brillare singoli, ma illumina comunità. È un codice morale prima che tecnico, un’ecologia dell’impegno e della lealtà.

Il rugby e il Veneto

Nel Veneto è anche un tratto identitario, un impasto di ethos e campanile. Lo racconta con profondità e spessore un libro, “Storia e attualità del rugby nel contesto veneto e internazionale”, edito dalla Fondazione Benetton nella serie Ludica Minima.

L’illustrazione nella copertina del libro. ”Barbarians at play”, da “Punch”, 3 novembre 1888
L’illustrazione nella copertina del libro. ”Barbarians at play”, da “Punch”, 3 novembre 1888

Prendiamolo come una guida compatta ma densa alla cultura della palla ovale. Ora afferriamolo come un pallone. E proviamo a correre in avanti.

Il volume costruisce un percorso attraverso cinque contributi di giornalismo, filosofia, storia, antropologia sportiva.

Gli autori

A guidarlo sono Andrea Passerini e Andrea Rinaldo, voci complementari: il primo – collega della Tribuna di Treviso e del Gruppo Nem – è osservatore sul campo e interprete delle dinamiche sociali del rugby trevigiano; l’altro è un rugbista ed ex azzurro, oggi scienziato di fama mondiale nell’eco-idrologia, accademico a Padova e Losanna, membro di alte istituzioni internazionali. Un outsider di lusso nella scrittura sportiva, capace di restituire al rugby un rigore teorico inedito. Rinaldo sfida i pregiudizi intellettuali sullo sport, portando il gioco sul terreno della complessità.

“Checché ne dica Bertrand Russell, non è vero che essere stupidi aiuta per eccellere in certi sport, au contraire”, scrive, rivendicando per l’atleta un’ intelligenza non verbale, bensì situazionale. “Il genio sportivo sviluppa un accesso istantaneo a un archivio di gesti collettivi o di azioni che quasi tutti gli altri non hanno”.

Un sapere silenzioso, rapido e “spietato”, perché “completamente definito dal suo effetto”.

Passerini, dal canto suo, riconduce quei valori alla storia e alla cultura di un territorio. “Durezza e lealtà, rispetto delle regole e dell’arbitro come figura suprema; sacrificio e spirito di gruppo sublimato in quel fondamentale sovrano che è il sostegno”: sono pilastri che ben si accordano con un Veneto dove il lavoro ha una dimensione “religiosa”, dove il gruppo conta più del singolo e il successo non si misura in fama, ma in obiettivi e coerenza. Certo non è un casuale allineamento di pianeti se proprio da qui, e non dalle metropoli, siano partite alcune delle esperienze più durature del rugby italiano. Passerini lo definisce “un miracolo di provincia e di un pallone eretico”, capace di generare appartenenza. E offre un richiamo al ciclismo, altro sport che invoca la fatica.

I contributi di Gherardo Ortalli e Umberto Curi ampliano il respiro del volume.

Ortalli scrive pagine fondamentali, indagando le origini ludico-belliche del rugby, collocandolo nella lunga storia dei “giochi di battaglia” e dei processi di civilizzazione. Curi riflette sulla tensione tra forza e violenza, offrendo al lettore uno scarto di pensiero che lambisce la filosofia morale.

Completa il quadro un testo di Gianluca Barca e Luciano Ravagnani sull’evoluzione del rugby veneto e internazionale, decisivo per intercettare le trasformazioni strutturali nell’era del professionismo.

Ha solo 68 pagine, ma questo libro riesce ad aprire molte porte. Alcune le spalanca, come un improvviso cambio di direzione in un attacco alla mano. Dalla pedagogia sportiva alla radice sociale e locale. Il caso di Treviso diventa emblema di una resistenza morale: uno sport che intende restare se stesso anche mentre tutto cambia.

Uno spazio di libertà responsabile

Il rugby, così come lo raccontano qui, è anche uno spazio di libertà e responsabilità, un piccolo ecosistema in cui il sacrificio condiviso “cementa amicizie che durano tutta una vita”. Non una religione civile, questo forse è troppo, ma una palestra esistenziale. Un sistema di valori e di dedizioni, dove il risultato non giustifica la scorrettezza. Tante volte in Veneto ho conosciuto qualcuno, impegnato in campi diversi della vita, che mi ha detto “Io vengo dal rugby”. La considerava, di per sé, una definizione precisa. —

 

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