Gegè Telesforo, 40 anni dopo "Quelli della notte": «Il jazz è il mio modo di vivere»

Il vocalist pugliese fa tappa a Udine con il tour “Big Mama Legacy” e ricorda l’esperienza con Arbore: «Quella trasmissione cambiò la TV italiana»

Gian Paolo Polesini
Gegè Telesforo vocalist pugliese lanciato da Renzo Arbore nella trasmissione "Quelli della notte"
Gegè Telesforo vocalist pugliese lanciato da Renzo Arbore nella trasmissione "Quelli della notte"

In quelle serate televisive appassionanti di quattro decenni fa nell’orchestra di “Quelli della notte”, diretta da Gianni Mazza, un artista poco più che ventenne cantava il jazz in modo sorprendente.

In gergo si dice “scat” una sorta d’improvvisazione vocale o l’arte della sillabazione, che dir si voglia. Quel giovanotto, di Foggia come mastro Renzo Arbore, gorgheggia e suona ancora nonostante «abbia già versato quarantaquattro anni di contributi», svela quel ragazzo, Gegè Telesforo, classe 1961, che proprio dalla Raiuno del 1985 ne uscì con i gradi sul petto di talentoso jazzista.

Nel suo infinito tour per l’Italia, con la formazione “Big Mama Legacy”, che dà il titolo all’album 2024 ed è prodotto da una casa discografica indipendente americana, la Ropeadope («come il famoso passo pugilistico di Mohammad Alì», precisa lui), Telesforo farà un pit stop ristoratore per il cartellone de “La vedova in jazz”, oggi giovedì 3: aperitivo alle 19 e cena dalle 20 nella trattoria più musicale del Friuli in via Tavagnacco 9 a Udine.

Un gruppo di cinque elementi — più lei alla voce e alle percussioni — coi quali, mi pare di capire, c’è una lunga storia.

«Siamo a 150 concerti assieme, credo che il numero basti a dimostrare l’affiatamento e la costanza. Fino a settembre batteremo il Bel Paese per poi espatriare durante l’inverno. A dicembre il progetto vivrà un degno addio e via che si ricomincerà con nuovi ritmi. La pensione è lontana. Chi vive d’ingegno e di creatività vede la fine con orrore».

Finché c’è divertimento c’è speranza, no?

«Eccome no. Ho un vantaggio: non sono un cantautore costretto a promuovere l’ultima canzone. Ogni tanto penso a Baglioni condannato per l’eternità a cantare “Questo piccolo grande amore”». Noi, altresì, suoniamo quello che la piazza ci ispira: annusiamo la gente e attacchiamo».

Come facciamo a identificare il genere di Telesforo: Blues? Fusion? Funk?

«La matrice è jazz e blues. Essendo onnivoro ho ascoltato di tutto con gioia e attenzione, da Mozart al comparto etnico, dall’Africa all’India. La mentalità del musicista jazz è incontrare le diversità. C’è sempre un qualcosa di buono e di stimolante che accogli con piacere».

Come ha cominciato a imporsi Gegè? Che poi sarebbe Eugenio il suo vero nome.

«Per una necessità, guardi. Ho respirato arte e musica sin da bimbo con un papà che era un jazzista integralista. In casa stavano appoggiati ovunque vari strumenti coi quali presi subito confidenza. Per far contenti i miei mi iscrissi a Economia e Commercio, ma non fu una buona idea, sempre ai suoni ritornavo com’era giusto e naturale che fosse».

Le va di indietreggiare al 1985? Il suo incontro con Arbore?

«Lo conoscevo già perché foggiano. Lui e mio padre si frequentavano per la nota passione. Quando poi scelsi di vivere a Roma suonavo nei club e una notte Arbore stava in platea e mi suggerì di andare a fare un’audizione per un programma televisivo. Mi ritrovai a tu per tu con Gianni Mazza e fui aggregato al gruppo di “Telepatria International, niente paura siamo italiani”, un programma di Raidue del 1981. Col tempo diventai anche un suo autore assieme a Ugo Porcelli».

E “Quelli della notte”? Il più incredibile show della televisione italiana che quest’anno ne ha compiuti quaranta tondi.

«Nessuno si aspettava un successo così travolgente. Il programma cambiò il modo di fare tivù, poche storie. Pensi che l’idea si formò pian piano durante una crociera su una nave che batteva bandiera russa. Qualcuno chiese a Renzo di portare in barca un po’ di amici musicisti e salpammo per il giro del Mediterraneo. Durante la navigazione ad Arbore venne l’idea di fare una trasmissione “come a casa mia”, disse, “con lo stesso spirito delle feste che faccio”. E così il progetto prese forma. Arbore assoldò personaggi conosciuti e alcuni debuttanti come me, Nino Frassica e Maurizio Ferrini. In trentadue puntate “Quelli della notte” suggerì alla televisione, che di anni ne aveva trentuno, una nuova magnifica strada da asfaltare. Con la simpatia, la grande musica, un pizzico di surreale, l’improvvisazione e, soprattutto, l’intelligenza».

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