Pordenonelegge, il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi: «L’Europa non sia suddita»

La prima donna a diventare magistrato in Iran ha aperto la 26ª edizione della rassegna: «La debolezza del Vecchio Continente è evidente»

Gian Paolo Polesini
Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, con Michelangelo Agrusti, presidente di Fondazione Pordenonelegge
Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, con Michelangelo Agrusti, presidente di Fondazione Pordenonelegge

«Ucciderti per noi sarebbe la cosa più facile del mondo». Una sera, rientrando a casa, la dottoressa Shirin Ebadi questo foglio scritto a mano appiccicato sulla porta d’ingresso fu costretta a leggere.

«La storia dell’Iran è quella della mia vita», scrive il premio Nobel per la pace 2003 nel suo libro “Finché non saremo liberi” (Bompiani), nonostante tutto, nonostante le minacce, nonostante l’esilio. Dal 2009. La prima donna iraniana a diventare magistrato nel suo Paese e ora avvocato con una mission: la difesa dei diritti umani. Già vincitrice del premio Hemingway 2023, nella serata di mercoledì 17 settembre Ebadi ha instradato pordenonelegge 26, il più internazionale degli altri venticinque, perché stare affacciati sul mondo implica uno sguardo possibilmente lungimirante e in modalità panoramica. «La morte non mi fa paura, tanto prima o poi ci raggiungerà tutti», disse due anni fa a Lignano. E aggiunse: «Ho comunque fiducia nel futuro».

Due anni dopo rimane questa fiducia con un pianeta che sta andando a fuoco?

«Guai a perderla. Sarebbe uno sbaglio. A smarrire il pensiero giusto ci si ferma e noi non dobbiamo farlo. Abbiamo dei buoni motivi per sperare. Per quanto riguarda l’Iran, fino a poco tempo fa, ci si confrontava con un regime potente che allungava i tentacoli in molti Paesi vicini, finanziando gli Hezbollah del Libano, alimentando così una situazione civile grave, sostenendo in Siria il potere di Bashshār al-Assad e mantenendo l’instabilità nello Yemen. Ma ora lo scenario è stravolto, fortunatamente. L’indebolimento iraniano è palese e lo si è percepito con determinazione durante l’attacco israeliano: la difesa aerea è stata distrutta in un paio di giorni. I segni di una caduta sono sempre più marcati».

E l’Europa come si confronta con l’Iran?

«La debolezza del Vecchio Continente si tasta con esempi evidenti. Due ne vorrei sottolineare. Quando a Roma arrivò il presidente iraniano Rouhani furono coperte, per decenza, le statue dei Musei capitolini. Un’assoluta mancanza di rispetto verso la vostra storia millenaria. Un’azione di inutile sudditanza. Ora trasferiamoci in Belgio. Un diplomatico dell’Iran fu arrestato perché gli fu trovato dell’esplosivo nella borsa e successivamente condannato a vent’anni di carcere. Poi senza spiegazioni tangibili il presunto terrorista venne estradato nel suo Paese e colà accolto trionfalmente. Questo continuo abbassare la testa dell’Europa traccerà dei varchi comodi per chi vorrà conquistarvi».

La storia insegna che più debole si ritrova a essere improvvisamente una dittatura e maggior sarà l’accanimento verso il popolo. Un atteggiamento reale?

«Assolutamente sì. Le impiccagioni proseguono giornalmente senza sosta così come le inutili violenze sul popolo, spesso ingiustamente accusato di spionaggio».

L’attuale presidente Masoud Pezeshkian potrebbe rivelarsi come il Gorbačëv dell’Iran?

«Lui è un fantoccio, anche per sua stessa ammissione. La guida non è autonoma: “sono qui per eseguire gli ordini”, ha detto».

Quali potrebbero essere gli arieti giusti per far crollare il regime?

«Le proteste veementi lavorano ai fianchi e un taglio alle vendite del petrolio alimenterebbero il collasso definitivo. E tutto ciò, fra l’altro, frenerebbe il sostegno del terrorismo altrove».

È ipotizzabile un aiuto da parte di altre nazioni che condividono e sostengono il totalitarismo e la repressione?

«La Russia fu informata dell’attacco israeliano, ma non sollevò nemmeno un sopracciglio. Tanto meno i cinesi».

Che pensano gli iraniani degli israeliani?

«Gli iraniani amano la propria Patria e non accettano che alcun Paese invada o attacchi la terra loro. In Iran si combatte su due fronti: da una parte un regime totalitario e, dall’altra, il nemico esterno. Lo slogan della popolazione è uno soltanto: no alla guerra e no alla dittatura».

Il 16 settembre 2022 Mahsa Amini veniva brutalmente assassinata dalla Polizia Morale iraniana per non aver indossato correttamente l’hijab. Sono passati tre anni da quella tragedia. Qualcosa è cambiato?

«Il movimento ha avuto un ruolo decisivo per lo stravolgimento della società, facendo indietreggiare il regime, tant’è che una legge — strutturata per inasprire le punizioni verso le donne malvelate — non è mai stata resa esecutiva perché sarebbe stato poi complicato applicarla. Ora migliaia di donne non portano più il velo. Una conquista incredibile. Nel mentre la protesta continua».

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