Il “cestino” di Umberto Saba: l’Irci acquista il Fondo con 18 poesie scartate

Nei fogli recuperati da Quarantotti Gambini i primi battiti dell’ispirazione dell’autore del Canzoniere: attraverso le opere ritenute indegne si scopre il processo creativo

Paolo Marcolin
La prima stesura della poesia dedicata alla Triestina,“Squadra paesana”
La prima stesura della poesia dedicata alla Triestina,“Squadra paesana”

C’è un luogo, nella storia della poesia italiana, in cui le parole scartate hanno avuto più destino di quelle conservate. È il “cestino di Saba”, come lo chiamò Pier Antonio Quarantotti Gambini in un articolo uscito nel gennaio 1965 sul Corriere della Sera.

Quel cestino, più che un recipiente di rifiuti, era una soglia: dentro vi finivano le poesie che Umberto Saba riteneva imperfette, provvisorie, talvolta indegne di arrivare alla versione “buona”. Ma proprio quelle carte, piegate, battute a macchina su fogli spessi e leggermente ingialliti, sono oggi uno dei tasselli più preziosi per capire il laboratorio poetico di Saba.

Il Fondo Quarantotti Gambini, già appartenuto al collezionista d’arte Manlio Malabotta, è ora diventato patrimonio pubblico, andando ad arricchire in modo significativo la memoria culturale triestina, grazie all’Istituto regionale per la Cultura istriano fiumano dalmata, che lo ha acquisito dalla libreria antiquaria Drogheria 28.

La collaborazione tra Drogheria 28 di Simone Volpato («siamo l’unica libreria Alai della regione», rivendica con orgoglio Volpato) e l’Irci aveva già dato numerosi frutti, come il recupero del manoscritto delle Lettere americane di Gianrinaldo Carli e la pubblicazione del grande catalogo Casanova in viaggio/Casanova on tour. Ora l’Irci aggiunge un capitolo fondamentale alla storia sabiana, restituendo alla città l’intreccio umano e letterario tra il poeta e Quarantotti Gambini.

Molto soddisfatto dell’operazione anche il presidente dell’Irci Franco Degrassi: «È un rapporto, quello tra noi e Volpato, che continua a dimostrarsi produttivo e permette a Trieste di custodire documenti unici, in grado di valorizzare l’amicizia tra due figure centrali del Novecento».

Dentro il Fondo si trova la materia viva del “cestino”: poesie comprese tra il 1928 e il 1945, tutte accuratamente schedate da Volpato e raccolte nel volume Il cestino di Saba, appena pubblicato, con una prefazione di Diego Marani.

Non si tratta di testi rinnegati. Nessuna abiura, nessuna cancellazione. Saba le consegnava a Quarantotti Gambini come si dona un libro raro, con una sorta di ironico gioco tra maestro e allievo: le buttava, sì, ma su carta preziosa – battuta sulla celebre macchina da scrivere Royal, regalata da Stock – come se lo scarto fosse già un gesto di attenzione.

Gambini, che frequentava assiduamente la bottega di Saba, assicurava che quelle poesie erano troppe per essere davvero “scarti”. In parte inferiori, forse, alle versioni definitive, ma non certo indegne del Canzoniere.

La sua curiosità divenne progressivamente irresistibile: superate le titubanze, infilò la mano nel cestino e recuperò diciotto poesie, alcune delle quali Saba stesso gli chiese di distruggere. Non lo fece. Le conservò, intuendo che in quei fogli viveva la parte più fragile e autentica del laboratorio poetico sabiano.

Le poesie recuperate

Il materiale è ricchissimo. C’è Oreste, la poesia che diede origine all’articolo del 1965. C’è la rarissima bozza di Ammonizione e altre poesie (1932), custodita in una cartellina di carta Varese confezionata da Giotti e dedicata “A Te 48”. Ci sono varianti sorprendenti di testi poi confluiti in Parole (1933-34), come Squadra paesana, dedicata alla Triestina, in cui le prime stesure presentano dei versi come “O nati dalla terra natia, da tutto un popolo amati” e un più intimo “Trepido seguo il vostro gioco”, poi sostituiti nella versione definitiva. E ancora un nucleo di poesie destinate a Ultime cose, l’edizione luganese con prefazione di Gianfranco Contini, redatte su carta antica bianchissima.

Il “cestino”, dunque, non è soltanto un vezzo narrativo. È un luogo critico della creazione poetica che interessa diversi scrittori. Calvino, per esempio, nella Poubelle agréée, del 1977, usò la metafora della pattumiera come strumento essenziale della scrittura. Uno scrittore non può conservare tutto, deve espellere, ripensare, riaccogliere, era il pensiero di Calvino. Saba lo faceva con naturalezza, procedendo per progressive approssimazioni, modificando, aggiungendo, riprendendo ciò che aveva gettato via. Ed è proprio tramite gli scarti che oggi possiamo osservare il processo, non soltanto il risultato.

Con questa acquisizione l’Irci non custodisce soltanto un archivio: custodisce il luogo in cui la poesia nasce anche dall’errore, dal tentennamento, dal foglio accartocciato. E, paradossalmente, restituisce dignità proprio a quello che Saba aveva scelto di gettare. Perché nel suo cestino – oggi scrigno e non più pattumiera – non finivano testi morti, ma i primi battiti della forma che sarebbe diventata definitiva. Trieste li accoglie ora come parte viva della propria storia culturale. 

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