La Pimpa compie 50 anni: Altan e mezzo secolo della cagnolina a pois, tra fantasia e satira
Altan, originario di Treviso si racconta: ad Aquileia una mostra da vedere. La cagnolina a pois è nata dalla matita mentre disegnavo per mia figlia»

Una lunga strada lastricata di illustrazioni e vignette satiriche rimaste ben stampate, tanto su carta quanto nella memoria collettiva (dal metalmeccanico Cipputi al camaleonte daltonico Kamillo Kromo), costituisce il memoir collettivo nazionale trasposto in tavole colorate, sarcastiche e a tratti agrodolci create in oltre cinquant’anni da Francesco Tullio Altan.
Il fumettista e autore di origine trevigiana, residente in Friuli, celebra quest’anno un’importante ricorrenza: il mezzo secolo di vita della Pimpa, la cagnolina svezzata dal Corriere dei Piccoli e poi protagonista di alcune serie cartoon negli anni Ottanta e Novanta rappresentante, ancora oggi, un simbolo amato da tutti i bambini.

La simpatica quattro zampe bianca con i caratteristici pallini rossi, le lunghe orecchie e la lingua spesso a penzoloni è attualmente protagonista di “Buon compleanno Pimpa!”, mostra ospitata nel centro di Aquileia (dove sarà visitabile fino a metà settembre) dopo aver conquistato negli ultimi mesi Bologna.
Altan, la sua storia a colori parte dal Brasile.
«Sì, e dopo è cambiato tutto. Ero iscritto alla facoltà di Architettura a Venezia, ma interruppi gli studi per non riprenderli mai più. Sognavo di lavorare nel mondo del cinema e in tivù, come scenografo e sceneggiatore; poi però arrivò un viaggio a Rio de Janeiro nel 1970, e tutto prese un’altra inaspettata direzione. Conobbi la mia futura moglie, Mara, e iniziai a disegnare lì, piccoli lavori. Prima di tornare a Milano, non immaginando quel che sarebbe arrivato dopo».
Cinquant’anni della Pimpa: qual è il segreto di un successo così esteso nel tempo?
«Non ho una risposta certa, ma il fatto che sia un personaggio creato insieme a mia figlia, senza troppe sovrastrutture mentali, dimostra come le cose più semplici abbiano sempre la capacità di comunicare con i più piccoli e la loro straordinaria fantasia. Certo, forse un tempo l’incantesimo della Pimpa durava di più, ora i bambini a quattro anni sono sveglissimi e cercano molto altro, ma è bello vedere come sia stata tramandata, di famiglia in famiglia».
Come nacque quel personaggio così particolare, e da dove arrivò la folgorazione?
«La Pimpa spuntò fuori improvvisamente mentre disegnavo per mia figlia, Kika: tra una casa, un albero, un fiore e un coniglio a un certo punto fece capolino questa cagnolina, che ci piacque tantissimo fin da subito e che rubò il nome al soprannome che davamo a una nostra amica di famiglia. Ora è in mostra: un’esposizione complessa e variegata, tra tavole illustrate e qualche originale accanto a una serie di sub-sezioni sottostanti con film, cartoni animati e momenti interattivi pensati per i più piccoli».
Dal Cavalier Banana al presente: cosa è cambiato in trent’anni, e come vede la politica di oggi?
«La vedo piuttosto male: a partire da Berlusconi tutto è andato franando, e la situazione mondiale è ogni giorno più tragica. Con Trump poi non c’è tanto da stare tranquilli, tira una brutta aria».
Disegna da oltre cinquant’anni. Quale momento della storia d’Italia le è rimasto più impresso, da un punto di vista “ispirazionale”?
«Forse il periodo iniziato con l’avvento di Bettino Craxi: fino a quel momento non mi ero occupato particolarmente di satira politica, e quel frangente mi servì da palestra istruendomi, facendomi capire come avrei dovuto muovermi in quel determinato contesto. Erano le regole della politica vera, ben diverse da quelle sgraziate del presente; imparai a maturare un mio linguaggio originale anche grazie all’interesse esercitato da quello che mi circondava».
“Animo, Europa”: in una delle sue vignette degli ultimi mesi è ritornato a palesarsi Cipputi, con la bandiera dell’Unione Europea. Che futuro immagina per il Vecchio Continente?
«Io e Cipputi condividiamo un po la stessa visione del mondo: e, francamente, è uno sguardo non troppo rassicurante. Lui è molto meno presente di un tempo, immerso placidamente in una comoda pensione a tempo indeterminato. Ma quando c’è da farsi sentire, non si risparmia mica».
Quante vignette crea abitualmente, e che metodologia di lavoro ha?
«Attualmente ne disegno due alla settimana, una per La Repubblica e un’altra per Il Venerdì; un tempo ne sfornavo anche quindici, venti al mese. Solitamente parto dal disegno, poi arrivano le battute ispirate da quel che ho messo su carta, cercando di trovare una chiave che collimi con tutto il contesto».
Ritorna mai a Treviso?
«Sinceramente è da un po’ che non torno in città. Mia madre era originaria di Zenson di Piave, e fino a quando era in vita andavo a trovarla quando potevo; ora non ho più legami particolari con il territorio, anche se un tempo ero molto preso sentimentalmente dal vecchio Treviso Comics. I ricordi belli certamente non mi mancano».
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