La lunga lettera di Petrarca al suo medico, Dondi: un tesoro custodito a Padova

Custodita nella Biblioteca Antica del Seminario di Padova, la lunga lettera che Francesco Petrarca scrisse nel 1370 al suo medico e amico Giovanni Dondi dall’Orologio. E’ un raro gioiello epistolare, denso di ironia, fragilità e riflessioni, in cui il poeta contesta le prescrizioni del dottore e, tra scherzo e verità, rivela il volto più umano della sua vecchiaia

La redazione
Parte della lettera di Petrarca al suo medico, custodita alla biblioteca del seminario di Padova
Parte della lettera di Petrarca al suo medico, custodita alla biblioteca del seminario di Padova

Sotto certi aspetti Francesco Petrarca era un tipo abbastanza pericoloso. Perché? Il motivo è semplice: se uno, ad esempio, gli inviava una cartolina magari con solo i saluti, lui rispondeva in genere con lettere chilometriche. Lunghissime ma belle, ricche di sapere. Ne sa qualcosa, ad esempio, Giovanni Dondi dall’Orologio, suo medico personale, letterato, astrologo, nonché amico di lunga data.

Giovanni Dondi dall’Orologio risulta destinatario di due lettere del Petrarca. E una di queste è custodita nella Biblioteca Antica del Seminario di Padova.

L’ha scritta di proprio pugno il poeta, in latino. Tradotta e riprodotta in italiano, corpo 18, in stile Times New Roman, occupa 20 cartelle e mezza, formato A4. Per leggerla e interpretare tutti i riferimenti un’ora non basta.

La lettera è uno dei tanti gioielli custoditi nella Biblioteca creata da Gregorio Barbarigo. E’ datata 13 luglio 1370. Fa parte della ricca collezione dei manoscritti e porta il numero 357. L’ha donata al Seminario nel 1801, quando ancora non era vescovo, Francesco Scipione Dondi dall’Orologio.

Quando l’ha scritta Francesco Petrarca aveva 66 anni e risiedeva da poco ad Arquà sui Colli Euganei, nell’edificio che gli era stato donato da Francesco I da Carrara, un amico fraterno, nel 1369.

Dal momento che la casa aveva assoluto bisogno di essere restaurata, l’autore del Canzoniere si trasferì nella nuova dimora nel marzo del 1370, dove l’anno successivo lo raggiunse la figlia Francesca che gli è stata poi accanto fino alla morte, nel 1374. Nel periodo padovano il poeta visse in un’altra casa – situata subito dietro il Duomo- dono sempre di Francesco I da Carrara, politico e condottiero, signore di Padova dal 1345 al 1385.

La lettera autografa del Petrarca rappresenta una puntigliosa risposta al dottor Giovanni Dondi, medico famosissimo a quell’epoca. Nato nel 1319, era figlio di Jacopo (medico a sua volta e soprattutto orologiaio: a lui si deve costruzione e installazione dell’orologio sulla torre di piazza dei Signori, nel 1344, poi distrutto e ricostruito nel 1437). A soli 35 anni era docente di logica e medicina al Bo.

Uomo dalla cultura universale sconfinata, venne definito dagli storici un precursore di Leonardo da Vinci per la sua capacità di tradurre la teoria in pratica. Va aggiunto anche che Giovanni Dondi dall’Orologio fu inventore dell’Astrario, una macchina astronomica complessa, iniziata a Pavia verso il 1365 e conclusa verso il 1381, capolavoro della orologeria di precisione tardomedievale, nella quale, grazie a un unico meccanismo a pesi, differenti facce mostravano sia le ore solari sia i moti dei pianeti allora noti.

Insomma, Giovanni Dondi era un’autorità sia in campo scientifico che in campo medico. Al Petrarca in una lettera aveva dato alcuni suggerimenti di tipo comportamentale a tavola, grossolanamente del tipo: distribuisci meglio l’assunzione di cibo nell’arco della giornata, non mangiare solo frutta e non bere solo acqua.

Il poeta scrisse di trovarsi in totale disaccordo. Si ribellò ai dettami terapeutici dell’amico Dondi, e gli scrisse una lettera, in forma scherzosa ma non troppo, confermando il detto che sotto sotto scherzando si affermano verità: «M’hai tratto, amico, - scrive nell’incipit – a scherzare in mezzo ai guai», perché «oppresso da grave e multiforme infermità”. Chiaro e tondo, il poeta dice di non credere nella medicina (di Ippocrate scrive: «so ch’egli fu uomo e

nulla più») con la stessa forza con cui aveva rinunciato a diventare il quarto notaio in famiglia (come il padre, il nonno e il bisnonno) preferendo la compagnia degli autori latini e greci.

Il Petrarca si dice d’accordo nel limitare «carni salate, salumi e erbaggi crudi onde finora mi piacqui», ma come fai – scrive a Giovanni Dondi- a dire che mi fa male bere solo acqua?

Contesta anche la riduzione delle ore di digiuno nel corso della giornata e la limitazione nel consumo della frutta. Caro dottore – aggiunge- «anche le carni de' fagiani e delle pernici tenute da voi in tanta stima, se tu ne mangi a crepapancia, ti saranno nocive».

Nella lettera Petrarca mette allo scoperto debolezze, tormenti e affanni. Il prezioso scritto fa parte del gruppo delle “epistole senili”.

Per il Foscolo lettere come quella descritta “son piene di sentimento e di saviezza, di pedanteria e d'eloquenza, di cristiana abnegazione e di puerile compiacimento di sé; e in esse è continuo l'azzuffarsi insieme della sua naturale franchezza e della cautela senile".

Quattro anni dopo il poeta chiuderà la sua vita terrena. Sarà proprio Giovanni Dondi Dall’Orologio a constatarne il decesso per una sincope.

Era il 19 luglio 1374. Il medico comunicò subito la notizia a Giovanni Dell’Aquila che gli dedicò il sonetto “Nel summo cielo con eterna vita”. Il poeta del Secretum, del De vita solitaria, delle Epistolae, del De viris illustribus, , nato 70 anni prima “allo spuntar dell’alba il lunedì 20 luglio nella città di Arezzo e nel borgo dell’Orto”, fu sepolto nella sua Arquà come aveva scritto nel testamento. A Giovanni Dondi, che fu sepolto nel 1389 nel Battistero del Duomo di Padova, destinò 50 ducati d’oro perché si comprasse un anello.

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