Il primo novembre 1788, quando Padova rivoluzionò il tempo: l’abate Toaldo e i rintocchi francesi sulla torre del Bo
Le dispute che due volte l’anno si rinnovano sull’ora legale e sull’ora solare sono poca cosa rispetto alle baruffe che fino a 250 anni fa si scatenavano fra i fautori dell’ora francese e dell’ora italica. Ecco la storia di Giuseppe Toaldo e della sua rivoluzione oraria nel cuore di Padova

Le dispute che due volte l’anno – l’ultima domenica di marzo e l’ultima di ottobre – si rinnovano sull’ora legale e sull’ora solare sono poca cosa, anche perché non portano mai a nulla, rispetto alle baruffe che fino a 250 anni fa si scatenavano fra i fautori dell’”ora francese” e dell’”ora italica”.
Dieci anni di conflitti, fra il 1787 e il 1797. E’ stato lo stesso Napoleone Bonaparte a scrivere la parola fine a questo intrigo internazionale: il giorno 10 pratile (29 maggio) l’imperatore decretò che i campanili e gli orologi anche in Italia dovevano battere l’”ora francese”, il sistema in vigore ancor oggi in tutto il mondo.
L’orologio sistemato nella torre del Bo a Padova fu il primo, e con anni di anticipo, a segnare il tempo alla francese in Veneto che prevedeva il computo delle ore a partire dalla mezzanotte. Era l’1 novembre 1788.
Fino ad allora il tempo veniva calcolato con l’ora italica, composta di 24 intervalli costanti, che si contavano a partire dal tramonto. Questo sistema era adottato in Italia ma anche in Polonia, nella Slesia e in Boemia (oltre che italica era chiamata anche ora boema) dal secolo XIV sin verso la fine del secolo XVIII.
Una decisa spallata al cambiamento la diede l’abate Giuseppe Toaldo, straordinaria figura di studioso.

Fu teologo, filosofo, matematico, climatologo e meteorologo, demografo e astronomo. Un vero e proprio pozzo di scienza cui Padova, un po’ freddina nei suoi confronti, ha dedicato solo una via (dalle parti di Chiesanuova), mentre Vicenza ha dato il suo nome all’Istituto Comprensivo Statale di Montegalda.
A Piavon di Oderzo nel Trevigiano, c’è invece un ristorante pervenuto ai suoi eredi che si chiama “Abate Giuseppe Toaldo”.
Ma chi era Giuseppe Toaldo e cosa ha rappresentato questo straordinario talento nella cultura scientifica italiana, e non solo, che in vita meritò la tripla P, del Pubblicus, Professor Patavinus?
L’abate Toaldo è nato a Pianezze nel Vicentino l’11 luglio 1719. A 14 anni è entrato nel Seminario di Padova e a 23 anni si è laureto in Teologia. E’ stato uno dei primi sacerdoti ordinati a Padova dal neovescovo Carlo Rezzonico, futuro papa Clemente XIII. Dal 1744 insegna in Seminario, prima grammatica poi filosofia e matematica.

Dal 1752 al 1766 è arciprete a Montegalda. Qui si inventa demografo e concepisce le “Tavole della vitalità”.
Ha stretti contatti con il mondo scientifico e così nel 1762 è chiamato dall’Università di Padova a occupare la cattedra di astronomia, geografia e meteore.
In questa veste diviene il primo direttore della Specola di Padova. Si deve a lui la scelta della torre del X secolo –la Torlonga fu la terribile prigione di Ezzelino da Romano – per farne un osservatorio, poi punto di riferimento europeo.
Scrisse libri sull’influenza degli astri sulle stagioni, sulla meteorologia e sull’utilità del parafulmine.
Fu grazie a lui che venne installato il parafulmine sul campanile di San Marco a Venezia.
Ma Toaldo merita di essere conosciuto anche per un altro motivo: ha curato, infatti, nella prima metà del ‘700 una importante edizione delle “Opere di Galileo Galilei divise in quattro tomi”.
Fra cui il quarto tomo, il celeberrimo “Dialogo sui massimi sistemi”, che un secolo prima aveva prodotto la condanna del genio pisano. Eravamo nel 1754. Ebbene, con le sue annotazioni Toaldo contribuì a smorzare l’ostilità della Chiesa nei confronti di Galileo, quando mancava ancora un secolo alla riabilitazione.
Tornando al computo del tempo, gli storici concordano sul fatto che l’abate Toaldo mal sopportasse che il momento del tramonto del sole fosse configurato come la “ventiquattresima ora”.
Già nel 1787 aveva denunciato l’arretratezza di questo sistema e raccomandava di passare all’”ora francese”, con la prima delle 24 ore che iniziava a mezzanotte. E il motivo era a lui, e non solo a lui, evidente: l’ora del tramonto- osservava Toaldo- cambia al variare delle stagioni.
Vale a dire che lo stesso momento della giornata si presentava a orari diverso a secondo che si fosse in inverno, in estate o in primavera e autunno. L’abate era consapevole, tuttavia, che tale cambiamento avrebbe comportato una sorta di choc nel popolo, privo di cultura e conoscenze.
Infatti, quando l’1 novembre 1788 venne cambiata l’ora a Padova, l’abate Giuseppe Gennari annotava: «Questa mattina l’orologio del Bo, così volendo il procuratore Pesaro Riformatore, cominciò a battere le ore alla francese; il popolo ignorante ride!».
Nonostante l’opera di sensibilizzazione di Toaldo, prelati, nobili e cittadini insorsero e così nel 1794 si tornò al vecchio sistema. Solo nel 1797 venne definitivamente adottata l’ora alla francese.
Così dall’alta torre del Bo il tempo continuò a scandire le ore proprio come voleva Toaldo e come impose Napoleone. Ci fu tuttavia una breve interruzione dei rintocchi, perché nei primi giorni del 1815 il vecchio campanone cedette all’usura del tempo. A forza si suonare il bronzo si era rotto.
Aveva svolto il suo compito per circa 60 anni (era stato fuso il 23 marzo 1756). Il Bo chiese aiuto al Governo di Venezia. Aiuto presto accordato: in breve tempo arrivò la nuova campana a scandire la vita della città e della struttura universitaria. Il bronzo usciva dalla celebre e collaudata fonderia di Daciano Colbacchini
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