Giovanni Allevi e la “gioia di vivere”: «La mia anima si protende verso la luce»

Doppio appuntamento a Trieste con il musicista: concerto e il docufilm. «La malattia non è ancora vinta, eppure la mia anima si protende verso la luce»

Elisa Grando
Giovanni Allevi
Giovanni Allevi

Si intitola “Joie de vivre”, “gioia di vivere”, il nuovo Concerto per Chitarra e Orchestra composto da Giovanni Allevi che sarà eseguito in anteprima mondiale alle ore 11 di domenica 2 novembre alla Sala Luttazzi del Magazzino 26 in Porto Vecchio a Trieste. Il titolo non è un caso: racconta una nuova fase della vita del pianista e compositore, che nel 2022 ha annunciato di essere malato di mieloma.

«Questa composizione è uno degli inaspettati fiori sbocciati nella mia nuova vita», dice Allevi. «La malattia non è ancora vinta, il mio corpo è tormentato dal dolore fisico, eppure la mia anima si protende verso una bellezza, una luce, che ho voluto catturare e trasformare in note».

 

Allevi sarà in sala ad ascoltare l’esecuzione dell’Orchestra Ferruccio Busoni diretta dal M° Massimo Belli, con solista il chitarrista classico di fama internazionale Giulio Tampalini, che non vede l’ora di «far risplendere queste note in tutta la loro luce. Eseguire in prima assoluta questo Concerto è come assistere ad una nascita. La sua musica prende vita, respira, racconta un cammino attraverso i momenti di abbandono, di forza, di indicibile dolcezza, fino a giungere all’energia luminosa della consapevolezza. E la chitarra diventa narratrice di una trasformazione interiore e spirituale».

Ma Giovanni Allevi è a Trieste per un doppio appuntamento: incontrerà il pubblico già oggi, sabato 1° novembre, alle ore 18:45 al Cinema Nazionale, per la presentazione del docufilm “Allevi - Back To Life” del regista Simone Valentini, che l’ha seguito per due anni per raccontare il suo ritorno alla musica.

Che cosa prova all’idea di ascoltare il Concerto per Chitarra, e vederlo nascere davanti al pubblico?

«Il primo sentimento è un’immensa gratitudine nei confronti del solista, del direttore e dell’orchestra che renderanno viva questa musica. So che stanno provando il brano con grande entusiasmo. Sarà per me una gioia indescrivibile ascoltarlo per la prima volta dal vivo».

Può anticiparci qualcosa della struttura del Concerto “Joie de vivre”?

«Il brano è in tre movimenti e rappresentano tre stati dello spirito che ho attraversato con l’esperienza della sofferenza: il buio glaciale, la speranza avvolgente ed infine la gioia di vivere più sfrenata. Mi piacerebbe che l’ascoltatore fosse preso per mano e condotto attraverso questo percorso interiore di rinascita».

Parliamo del docufilm “Allevi - Back to Life”. È stato difficile farsi accompagnare e raccontarsi alla macchina da presa?

«Devo confessare che non è stato facile. Per una mia indole personale non amo essere ripreso dalle telecamere e preferisco parlare il meno possibile. Ma questo passo andava fatto, perché il film credo possegga una forte valenza sociale. Può essere d'aiuto a chiunque stia vivendo un momento di difficoltà. Il mio sogno è che lo spettatore esca dalla proiezione con il cuore gonfio di vita».

Qual è stato il momento più emozionante nel rivedere la sua storia e la sua arte in un film?

«Sicuramente il momento filmato in maniera estemporanea in cui, dopo tre anni, incontro in sala prove i professori d’orchestra per eseguire insieme il concerto per violoncello MM22 che ho composto sul letto d’ospedale. Sognavo di dirigerlo se fossi sopravvissuto e il sogno si è avverato».

È emozionante sentire come spiega ai professori gli episodi e i pensieri che hanno fatto nascere ogni parte dell’opera. In che modo la musica l’ha aiutata nei momenti più duri?

«Ho trasformato in musica l’angoscia, la paura, ma anche la voglia di combattere, la speranza e la follia delle mie visualizzazioni mentali, per cercare di predisporre il mio corpo all’autoguarigione. La musica continua a dare un senso alla mia sofferenza e mi sta aiutando ad accogliere un destino che altrimenti vivrei come una incomprensibile fatalità».

Il suo tecnico accordatore racconta che lei ha un “rapporto quasi umano col pianoforte”…

«Nel film è catturato anche l’attimo in cui mi siedo al pianoforte dopo la malattia, nel pomeriggio prima di un concerto. Mi si stringe il cuore a vedere le dita che tremano per il dolore alla schiena e per i farmaci. Allora mi chiedo come sia possibile suonare con il corpo sofferente. Ora sono convinto che proprio perché nel dolore, la mia interpretazione pianistica, magari non più tecnicamente perfetta come una volta, racconta un mondo interiore con una visceralità ancora più grande».

Nel film dice che il mieloma le ha fatto smettere di preoccuparsi per il giudizio degli altri: il dolore insegna a riposizionare le proprie priorità?

«Che la malattia possa portare dei doni, oltre al dolore, è un’idea difficile da accettare. Eppure voglio sondare questa possibilità, visto che l’alternativa è la disperazione. Il dono più grande che ho ricevuto da essa è stato l’affrancamento dal giudizio degli altri. Ora vivo la musica come gesto poetico totalizzante che non chiede nessuna convalida esterna. È come se fossi diventato un cuore animato soltanto da amore puro ed incondizionato».

 

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