Vivian Maier in mostra a Padova: 200 fotografie per scoprire la “tata fotografa” invisibile

Al Centro Altinate San Gaetano di Padova la più ampia retrospettiva su Vivian Maier, la fotografa che ha raccontato l’America invisibile: oltre 200 scatti in mostra fino al 28 settembre

Michele Gottardi
Autoritratto di Vivian Maier
Autoritratto di Vivian Maier

È la fotografa marginale per eccellenza, Vivian Maier, per la vita che ha fatto e per i soggetti che ha ritratto. Soggetti che non rientrano nel sogno americano, per realizzare il quale essi avevano magari passato un oceano o superato le Ande, e che forse oggi non piacerebbero a The Donald, ma che alla fine sono statunitensi integrati da generazioni.

Per info e orari di apertura: CLICCA QUI

E lei, tata e puericultrice, una vita all’ombra delle grandi famiglie cui prestava la sua opera educativa, in segreto fotografa per sola passione, li ha visti, fotografati e affidati all’eternità degli sguardi postumi, senza nessun’altra passione che lo scatto della sua Rolleiflex.

A questa straordinaria artista Padova dedica la più ampia retrospettiva, organizzata dal Comune e da Arthemisia al Centro Altinate San Gaetano, “Vivian Maier. The exibition”.

La mostra 

La mostra, che resterà aperta fino al 28 settembre prossimo (orario 10-19.30, chiusa il lunedì), è curata da Anne Morin – la più grande esperta e studiosa della vita dell’artista che aveva già curato due anni fa la prima mostra di Maier, a Conegliano, dedicata agli autoritratti – è suddivisa per sezioni tematiche che esplorano i soggetti e gli aspetti distintivi del suo stile: dagli intensi autoritratti alle scene di vita urbana, dai ritratti di bambini alle immagini di persone ai margini della società, dai particolari delle mani o dei visi sino al minimalismo e al vuoto degli ultimi scatti, irreali e rarefatti.

Vivian Maier (1926– 2009) è oggi nota, grazie alle ricerche del suo scopritore John Maloof: nata a New York da genitori emigrati negli States, lui austriaco, lei francese delle regioni alpine, poi dal 1956 trasferitasi a Chicago, iniziò ad avere fama, a sua insaputa, solo poco prima della sua morte, diventando un’esponente ante litteram della street photography in modo assolutamente casuale. Ormai anziana e con difficoltà finanziarie, aveva collocato in un box le oltre duecento casse di rullini e foto scattate negli anni, tra New York e Chicago, dove aveva fatto la bambinaia.

Un simbolo 

Pur accudita dai Gensburg, la famiglia che aveva seguito più a lungo, nel 2007 venne ricoverata in ospedale per i postumi di una caduta sul ghiaccio, senza poter onorare gli affitti del magazzino. Così il contenuto del box andò all’asta.

A comprarlo fu appunto John Maloof, giovane figlio di un rigattiere, il quale, volendo fare una ricerca su Chicago e avendo poco materiale iconografico a disposizione, venne a sapere di un’asta fallimentare di un box zeppo degli oggetti più disparati, espropriati a una donna che aveva smesso di pagare l’affitto, che comprò in blocco per 380 dollari.

Mettendo ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini e perfino assegni di rimborso delle tasse mai riscossi), Maloof reperì una cassa contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare: era il tesoro di Vivian, che con fatica Maloof riuscì a identificare come l’autrice, ma ormai dopo la sua morte.

Un po’ come la poetessa Emily Dickinson (un cui verso non a caso è apposto alla fine della mostra, «esco con la lanterna in cerca di me stessa»), le cui poesie furono trovate solo dopo la sua morte, anche Vivian Maier ci ha lasciato un enorme patrimonio artistico, fatto di 12mila negativi, parte dei quali mai sviluppati, 300 ore di filmati, in super 8 e non solo, e oltre 20 ore di registrazioni.

200 fotografie a Padova

A Padova potremo vedere più di 200 fotografie a colori e in bianco e nero, scatti iconici, oggetti personali, documenti inediti, audio e filmati Super 8. Non si creda, tuttavia, che la vita senza particolari slanci sentimentali di Vivian Maier si rifletta in scatti tristi, depressi, angosciati.

La fotografa americana invece mostra un’ironia acuta e una sensibilità che si manifesta nella documentazione quotidiana della vita americana tra New York (1951-1956) e Chicago (1956-2009), sempre con una costante, la sua invisibilità. «Quando scatta le sue foto in questo tessuto urbano», scrive Anne Morin nel bel catalogo Moebius, «nel cuore del grande trambusto del mondo, Maier privilegia gli istanti residuali della vita sociale cui nessuno presta attenzione. Fotografa il disotto, l’accanto», quello che non si nota, ma sono particolari che fanno la differenza.

Si veda la sezione dedicata ai giornali, letti, sgualciti, svolazzanti, usati per sedercisi sopra o per incartare i resti di un veloce pranzo, indipendentemente dalle notizie sparate in prima pagina. E ancora, la serie di scarpe e piedi, di ombre e profili, per finire al colore, era passata alla fine a una Leica 35 mm, per dare un’ulteriore sfumatura a una quotidianità tutt’altro che monotona. 

Riproduzione riservata © il Nord Est