Il kolossal di Mengoni, molto più che pop. Un concerto-opera che rapisce l’Euganeo

“Marco negli stadi 2025” è il racconto di una caduta e una rinascita. Uno show per capitoli, come una tragedia greca

Cristiano Cadoni
Marco Mengoni sul palco dell'Eugeneo di Padova (foto Agenzia Bianchi)
Marco Mengoni sul palco dell'Eugeneo di Padova (foto Agenzia Bianchi)

Ora ci sono gli stadi pieni, c’è questo palco largo cinquanta metri, una produzione che non ha niente da invidiare a quella delle star internazionali. C’è una band di tredici elementi e ci sono dieci performer a girargli intorno. Ma la strada per arrivare fin qui, al tour che ne decreta la consacrazione fra i grandi del nostro pop, non è stata tutta in discesa per Marco Mengoni.

Marco Mengoni live a Padova, l'inizio del concerto tra gli effetti speciali

Che arrivato infine a un punto di equilibrio – o che così si può immaginare – sceglie di raccontarsi con un concerto che è una sorta di viaggio esistenziale – fragilità, solitudine, crisi, egoismo, rinascita – declinato in forma di tragedia greca, dalle macerie al trionfo, dalla caduta alla resurrezione e alla catarsi finale, più bella perché condivisa, in coro, occhi chiusi e braccia aperte, per abbracciare la felicità.

Definirlo solo uno show può sembrare riduttivo: quello al quale assistono i quarantamila dell’Euganeo di Padova nella tappa numero nove del “Marco negli stadi tour 2025” è un kolossal concepito come un format teatrale, una sintesi tra esperienza personale, riflessione sociale e linguaggio visivo.

A Padova l'Euganeo canta con Marco Mengoni

Non è un caso che Mengoni abbia voluto curarne e supervisionarne ogni dettaglio, fino – si dice – all’asta del microfono: è la sua storia, è sulla sua pelle che ne ha sentito gli effetti ed sulla sua pelle che oggi può sentirne i brividi. Lo spettacolo è diviso per capitoli, proprio come una tragedia: prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo e catarsi. La musica è al centro, benché la band resti sempre sullo sfondo, quasi nascosta, ma quello che le ruota intorno è tutt’altro che secondario. Uno show straordinario.

Il sipario chiuso, davanti al quale il pubblico trova un ammasso di macerie, si apre alle 21.20, in un’atmosfera elettrica, dopo tre tuoni e il prologo con una voce narrante che spiega il senso del tutto: le macerie, il viaggio dentro se stessi, la rabbia, la paura, la fragilità. Mengoni, in cima a una rupe, attacca con “Ti ho voluto bene veramente”, davanti a una distesa di telefonini accesi e di occhi che brillano.

Due vite: Marco Mengoni emoziona l'Euganeo di Padova

«Per te io mi rialzerò», canta poi, nel secondo brano che è “Guerriero” e a questo punto è già chiara la cifra del concerto, la sua imponenza, con gli schermi ai lati del palco che moltiplicano e amplificano ogni movimento, e con una regia spettacolare. Il terzo brano è “Sai che”, lo canta tutto lo stadio e ha già il sapore della svolta. Infatti segna la fine del prologo e l’inizio del parodo, un affondo introspettivo guidato ancora dalla voce narrante: «Siamo sicuri che sia sempre colpa degli altri? L’egoismo ha distrutto tutto. Ma noi cosa facciamo? Non andiamo a votare, non manifestiamo». È il momento della “Valle dei re” - e qui Mengoni - dopo aver salutato Padova - può cominciare a far sfoggio della sua voce che non è sempre perfetta ma colpisce dritta al petto.

Brucia il palco, fuochi sui video, fuochi che si liberano nell’aria. Arrivano in sequenza “Non me ne accorgo”, “Tutti hanno paura” e “No stress” che cambia i colori del palco e libera i performer sulla pedana in mezzo al pubblico adorante, mentre i bassi scuotono l’Euganeo e la padovana Alice B. sfoggia le sue doti vocali come corista.

È già un trionfo ed è appena cominciato. Su “Voglio” Mengoni vuole dire «grazie a chi è qui stasera». Una potentissima “Muhammad Ali” introduce gli Episodi e il concerto sa già di liberazione: «Ognuno ha il suo modo di restare in piedi, il mio è la musica». “Fuoco di paglia”, “Cambia un uomo” - la cantano tutti - e poi “Luce”. Lui, Marco, sorride allo stadio pieno.

Mengoni sospeso sopra al pubblico cantando La casa azul

Dopo un’ora di concerto ha lo stadio in mano e su una potentissima “Hola” ringrazia ancora Padova. Arriveranno gli Stasimi, momento di riflessione e cura - il momento in cui si ritrova il senso o almeno si capisce che un senso completo non c’è - e arriveranno “Due vite” (seguita da un’ovazione, con tutto lo stadio che lo chiama per nome e lui che parla in un dialetto veneto rivedibile per introdurre un sondaggio sui decibel del pubblico - e ne vengono misurati 107,5 - ma poi si fa serio e parla dell’anno difficile che si è lasciato alle spalle) e “L’essenziale”, da pelle d’oca.

Poi l’Esodo con “Proibito” e “Non sono questo”, fino alla catarsi finale che è il momento di lasciarsi andare - se ancora qualcuno avesse avuto remore - e di “Mandare tutto all’aria”. Il bis, con “Esseri umani” dà fuoco alle ultime polveri. Se tragedia è stata, il riscatto è servito. 

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