Il kolossal di Mengoni, molto più che pop. Un concerto-opera che rapisce l’Euganeo
“Marco negli stadi 2025” è il racconto di una caduta e una rinascita. Uno show per capitoli, come una tragedia greca

Ora ci sono gli stadi pieni, c’è questo palco largo cinquanta metri, una produzione che non ha niente da invidiare a quella delle star internazionali. C’è una band di tredici elementi e ci sono dieci performer a girargli intorno. Ma la strada per arrivare fin qui, al tour che ne decreta la consacrazione fra i grandi del nostro pop, non è stata tutta in discesa per Marco Mengoni.
Che arrivato infine a un punto di equilibrio – o che così si può immaginare – sceglie di raccontarsi con un concerto che è una sorta di viaggio esistenziale – fragilità, solitudine, crisi, egoismo, rinascita – declinato in forma di tragedia greca, dalle macerie al trionfo, dalla caduta alla resurrezione e alla catarsi finale, più bella perché condivisa, in coro, occhi chiusi e braccia aperte, per abbracciare la felicità.
Definirlo solo uno show può sembrare riduttivo: quello al quale assistono i quarantamila dell’Euganeo di Padova nella tappa numero nove del “Marco negli stadi tour 2025” è un kolossal concepito come un format teatrale, una sintesi tra esperienza personale, riflessione sociale e linguaggio visivo.
Non è un caso che Mengoni abbia voluto curarne e supervisionarne ogni dettaglio, fino – si dice – all’asta del microfono: è la sua storia, è sulla sua pelle che ne ha sentito gli effetti ed sulla sua pelle che oggi può sentirne i brividi. Lo spettacolo è diviso per capitoli, proprio come una tragedia: prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo e catarsi. La musica è al centro, benché la band resti sempre sullo sfondo, quasi nascosta, ma quello che le ruota intorno è tutt’altro che secondario. Uno show straordinario.
Il sipario chiuso, davanti al quale il pubblico trova un ammasso di macerie, si apre alle 21.20, in un’atmosfera elettrica, dopo tre tuoni e il prologo con una voce narrante che spiega il senso del tutto: le macerie, il viaggio dentro se stessi, la rabbia, la paura, la fragilità. Mengoni, in cima a una rupe, attacca con “Ti ho voluto bene veramente”, davanti a una distesa di telefonini accesi e di occhi che brillano.
«Per te io mi rialzerò», canta poi, nel secondo brano che è “Guerriero” e a questo punto è già chiara la cifra del concerto, la sua imponenza, con gli schermi ai lati del palco che moltiplicano e amplificano ogni movimento, e con una regia spettacolare. Il terzo brano è “Sai che”, lo canta tutto lo stadio e ha già il sapore della svolta. Infatti segna la fine del prologo e l’inizio del parodo, un affondo introspettivo guidato ancora dalla voce narrante: «Siamo sicuri che sia sempre colpa degli altri? L’egoismo ha distrutto tutto. Ma noi cosa facciamo? Non andiamo a votare, non manifestiamo». È il momento della “Valle dei re” - e qui Mengoni - dopo aver salutato Padova - può cominciare a far sfoggio della sua voce che non è sempre perfetta ma colpisce dritta al petto.
Brucia il palco, fuochi sui video, fuochi che si liberano nell’aria. Arrivano in sequenza “Non me ne accorgo”, “Tutti hanno paura” e “No stress” che cambia i colori del palco e libera i performer sulla pedana in mezzo al pubblico adorante, mentre i bassi scuotono l’Euganeo e la padovana Alice B. sfoggia le sue doti vocali come corista.
È già un trionfo ed è appena cominciato. Su “Voglio” Mengoni vuole dire «grazie a chi è qui stasera». Una potentissima “Muhammad Ali” introduce gli Episodi e il concerto sa già di liberazione: «Ognuno ha il suo modo di restare in piedi, il mio è la musica». “Fuoco di paglia”, “Cambia un uomo” - la cantano tutti - e poi “Luce”. Lui, Marco, sorride allo stadio pieno.
Dopo un’ora di concerto ha lo stadio in mano e su una potentissima “Hola” ringrazia ancora Padova. Arriveranno gli Stasimi, momento di riflessione e cura - il momento in cui si ritrova il senso o almeno si capisce che un senso completo non c’è - e arriveranno “Due vite” (seguita da un’ovazione, con tutto lo stadio che lo chiama per nome e lui che parla in un dialetto veneto rivedibile per introdurre un sondaggio sui decibel del pubblico - e ne vengono misurati 107,5 - ma poi si fa serio e parla dell’anno difficile che si è lasciato alle spalle) e “L’essenziale”, da pelle d’oca.
Poi l’Esodo con “Proibito” e “Non sono questo”, fino alla catarsi finale che è il momento di lasciarsi andare - se ancora qualcuno avesse avuto remore - e di “Mandare tutto all’aria”. Il bis, con “Esseri umani” dà fuoco alle ultime polveri. Se tragedia è stata, il riscatto è servito.
Riproduzione riservata © il Nord Est