Monica Guerritore debutta alla regia con“Anna”: «Celebro la Magnani forte anche nella fragilità»
Il film nei cinema in queste settimane è stato scritto e interpretato dalla Guerritore: «La donna adulta non ha solo rughe ma un passato forte»

Per Monica Guerritore il film “Anna”, da lei scritto, diretto e interpretato, è stato un appuntamento con il destino, che l’ha condotta ad incarnare una tra le sue più importanti fonti d’ispirazione: Anna Magnani.
Per il pubblico invece “Anna” è un’epifania del femminile, coacervo di umane fragilità e forze inaspettate, passioni travolgenti e stabilissime convinzioni, ossimori che trovano sintesi quando una donna si mostra agli occhi del mondo esattamente per quello che è.
Il film infatti svela gli aspetti più intimi della vita della Magnani, come le liti coi registi, i tradimenti, il figlio malato, l’amore per Rossellini, rompendo l’immagine tramandata di un’icona, per cogliere il segreto nascosto, l’interiorità incompresa, dentro cui possiamo ritrovare anche tutte le nostre ferite.
Guerritore, perché fare un film sulla Magnani?
«Perché nessuno l’ha mai fatto prima e perché, grazie questo film, possa tornare a vivere e a farci sentire che cosa ha passato. Il 21 marzo 1956 la Magnani vince l’Oscar come miglior attrice per “La Rosa Tatuata”, e l’ho immaginata camminare, durante la notte dell’attesa, per le strade di Roma, mentre i ricordi definiscono il bilancio della sua vita».
Che bilancio sarà?
«Lo simboleggia la scena finale di “Roma città aperta”, ambientata nel 1945, quando si ammala suo figlio Luca. La vediamo correre, e quella è la corsa che porta il bambino all’ospedale e che porta lei, nel film, verso l’uomo che ama: la mitragliatrice ammazza tutte e due, la donna e il personaggio. E poi c’è il dolore per Rossellini, potentemente presente nella sua assenza».
Che ruolo ha avuto Anna Magnani nel suo percorso di attrice?
«E’ stata un’ispirazione da subito. Nel 1973 avevo quindici anni ed entrai nell’agenzia che seguiva la Magnani, appena due mesi dopo la sua morte. La prima foto che vidi appesa è stata quella del suo volto, che tra tutti quelli delle grandi attrici dell’epoca, mi colpì per i suoi tratti particolari. Poi quando feci “La lupa” nel 1996, cercavo il modo di restituire la descrizione di Verga, “una donna pallida con due occhi grandi che mi mangiavano come se non fosse mai sazia”, e pensai alla Magnani. Come lei ho sempre interpretato personaggi forti anche nella fragilità, generosi e felini, seguendo le sue tracce».
Che cosa ha portato lei di Monica dentro ad Anna?
«La verità e l’autenticità, sorrette dalla volontà di portarla al pubblico. Ho sostenuto questo ruolo perché ho cinquant’anni di teatro sulle spalle, e la maestria tecnica, maturata con l’esperienza, ci accomuna. Abbiamo la stessa concezione del mestiere, non ci interessano le commedie, ma personaggi che parlino alla società, penso a “Bellissima”, “Mamma Roma”, “L’onorevole Angelina”».
Cosa dice la Magnani alle donne di oggi?
«E’ un modello di femminilità che ha il coraggio di esprimere, anche verbalmente, ciò che non approva: “Dite a Ponti che la Magnani ha detto no!”, considerando che Ponti era al tempo il più grande produttore. Se si sente mancata di rispetto lo manifesta senza paura del giudizio o di risultare antipatica, grida la libertà di essere come siamo. Se io donna sullo schermo vedo solo personaggi deboli o superficiali, mi sento abbandonata, ma se vedo chi mi rappresenta, capisco di non essere sola».
"Inganno", dove lei interpreta la protagonista Gabriella, è l'unica serie Netflix italiana nella top 20 delle più viste al mondo con oltre 27 milioni di streaming: come si spiega questo successo?
«Da un lato c’è l’archetipo del pericolo, l’uomo che arriva di notte, con una pistola, bellissimo e giovane, dall’altro c’è una donna di sessant’anni in un momento di stallo. L’amore mostra alla mia generazione che ad ogni età l’Eros può bussare alla porta, e alle giovani che non devono temere la maturità, perché una donna adulta non ha solo le rughe, ma anche un passato che la fortifica. La serie mostra un futuro diverso, verso cui dobbiamo camminare a testa alta, come ci insegna la Magnani». —
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