Matilde, la ragazzina che non molla mai: «Ho ispirato io il personaggio di Virzì»
Una donna e una vigna secca: c’è molto di Augusta Bargilli, viticoltrice a Prepotto, nella storia del film Cinque secondi

La percezione di un’esistenza reale in un film rende il cinema decisamente più sensibile. La tenacia di Augusta ha rafforzato il personaggio di Matilde, la ragazzina che non molla mai di “Cinque secondi”, l’opera di Paolo Virzì sulle evoluzioni di personalità in subbuglio: un avvocato afflitto dal senso di colpa e una giovinetta decisa a dare uva a una vigna ormai secca.
Risalendo le origini del tutto conosciamo Augusta Bargilli, che indossa quarti di nobiltà e un passato avvincente da romanzo ottocentesco: l’azienda vitivinicola di oggi porta il suo nome e la terra è quella friulana di Prepotto. «Faccio tutto da sola — dice — chi beve il mio vino beve me». Rivela di pestare gli acini coi piedi, una danza da tinozza che si compie anche nel mondo parallelo della finzione cinematografica.
Augusta è toscana, chiariamolo subito, conosce Virzì durante le riprese di “Baci e abbracci” alla fine dei Novanta e s’interessa al teatro. La ritroviamo al fianco di Dario Fo per lo studio di “Mistero Buffo” — pare sia l’unica donna a recitare in purissimo grammelot — e, prima ancora, sfila per Miss Italia: è finalista con la fascia nazionale di Miss Cotonella, con Mara Carfagna Miss Cinema.
Augusta, ci racconti qualcosa di lei.
«Mio nonno, negli anni Trenta, acquistò una casa padronale appartenuta al Granduca di Toscana, una ex tenuta di caccia, in una zona fra Barberino del Mugello e il Pisano. Anche la mia vita è stata un’anatomia di cinque secondi, un tempo sospeso tra caduta e resurrezione. A venticinque anni ero in attesa di mia figlia. Si chiama Aloisa e, nella storia filmica, interpreta Valentina. Avevo scelto di portare avanti quella gravidanza da sola, di affrontare la maternità come un atto di libertà e di fede. E in quell’attesa fragile e potente insieme è iniziato il mio ritorno alla terra. Sono tornata a Collemezzano, luogo natio, e nel silenzio delle vigne abbandonate, ho sentito che la campagna avrebbe potuto diventare il mio rifugio, la mia salvezza».
Anche Matilde, nel film, rimane incinta giovanissima e lotta disperatamente per far germogliare l’impossibile.
«Eh certo, Paolo s’era invaghito di quei racconti pregni di abbandoni, conquiste, lotte. E, fra l’altro, c’è molto del regista in Adriano, l’avvocato interpretato da Valerio Mastandrea, un uomo distrutto dalla colpa che si isola difeso dalla vegetazione. Sarà per lui medicamentoso l’incontro con il gruppo di giovani che si dedica alla rinascita del luogo abbandonato».
Perché parla di caduta e resurrezione?
«Il mio babbo ha dissipato il patrimonio del nonno. Io, mamma e le mie tre sorelle abbiamo vissuto una pericolosa deriva, fino alla separazione. Restava da affrontare la malattia di mia madre Maria Teresa, che lottò con una tenacia inspiegabile e, finalmente, il mio risveglio in Friuli. A lei ho dedicato il mio primo Friulano, un vino nato da vigne vecchie e da una vendemmia in cui sono riuscita a valorizzare la muffa nobile».
Friuli come un esilio gioioso?
«Assolutamente. Manca un passaggio decisivo. Nel 2016 ripresi a vinificare e, due anni dopo, incontrai Pierpaolo Sirch, il mio attuale compagno. Con lui si è completata la resurrezione con la fondazione, nel 2019, della mia azienda. Lavoro da sola in cantina, adotto pratiche tradizionali: il pestare l’uva coi piedi, la diraspatura dei grappoli a mano sulla rete d’acciaio, l’ascolto lento della fermentazione. E conservo valori non negoziabili come la qualità, l’unicità e la personalità. La mia vita scorre lenta fra lavoro e casa, poca socialità. Il contesto e la guida di Pierpaolo, che ha formalizzato metodi scientifici di potatura e viticoltura, costituiscono una formazione rigorosa difficilmente replicabile altrove».
Sfide future?
«C’è quella del presente, per ora. Ed è la tecnica dei bianchi, un vino che qui è principe. Non nego che mi piacerebbe tornare in Toscana senza abbandonare il progetto friulano ormai riconosciuto».
Il suo brand ha attecchito?
«Pur riconoscendo una crisi generale del mercato, in due anni sono entrata in molti ristoranti. Punto sulla coerenza artigianale. C’è lo sguardo amorevole di Pierpaolo, ma è Augusta a produrre. Vorrei dire che il Friuli è stata una scuola, sì, perché voi avete un grande senso civico, un grande senso del lavoro e siete gente seria». —
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