Luca Bizzarri: «Tra tante certezze, rido dei miei dubbi»

Il cabarettista genovese sabato sera al Toniolo di Mestre: «Sul palco, da solo, si crea una verità che altrove non c’è»

Leandro Barsotti

Genovese, 54 anni, Luca Bizzarri sarà sabato (ore 21) al Teatro Toniolo di Mestre con “Non hanno un dubbio”.

Il tuo nuovo spettacolo è un monologo nudo e crudo, senza musica, scenografia o video. Scelta di coraggio o di masochismo artistico?

«Un po’ entrambi. È un modo di lavorare più stressante dal punto di vista emotivo, ma allo stesso tempo ti regala qualcosa di impagabile. Quando sei solo sul palco, senza rete, si crea un contatto col pubblico che nessun artificio tecnico può dare. È come buttarsi giù da una discesa con gli sci: se pensi troppo, ti schianti. Se ti lasci andare, ti senti vivo».

Affronti temi che parlano più della vita che della politica. Ti stai allontanando dall’attualità?

«Sì, sempre di più. Forse è l’età che avanza, o forse è che l’attualità è diventata terribilmente noiosa. È piatta, banale. Non ci sono più guizzi, paradossi, invenzioni che possano far ridere o riflettere davvero. È tutto già scritto, già detto. Così mi sono accorto che i temi più interessanti oggi sono quelli più umani, quelli che parlano di noi, delle nostre fragilità».

Il titolo, “Non hanno un dubbio”, suona come un giudizio. Ti riferisci a questa società di certezze gridate?

«Viviamo in un mondo di certezze assolute, dove tutti sanno già da che parte stare, prima ancora di capire di cosa si stia parlando. Le certezze le hanno gli stupidi, i saggi invece hanno dubbi. Oggi siamo pieni di schieramenti, di tifoserie: bianco o nero, Israele o Hamas, Putin o Zelensky. Come se il mondo fosse una curva da stadio. È un imbarbarimento continuo».

Il digitale ha peggiorato questa situazione?

«Nell’era pre-digitale c’erano poche fonti, ma esisteva un equilibrio: un’informazione, una controinformazione. Penso alla guerra del Vietnam, quando la verità si costruiva tra versioni diverse. Oggi abbiamo centomila fonti e nessuna verità. Ognuno può dire la sua, e noi non cerchiamo più di capire: scegliamo per chi tifare. È un atto di fede, non di ragione».

Non è anche un problema generazionale? I ventenni sembrano più schierati.

«Ma i ventenni devono essere così! Hanno la scusa di avere vent’anni. È normale che urlino, che si schierino. Il problema sono i cinquantenni che si comportano come ventenni. Siamo una società di adolescenti permanenti. Manca la figura dell’adulto, quello che fa da riferimento, che mantiene la calma, che indica una direzione. Oggi gli adulti vogliono solo essere giovani, anche nei loro errori».

Nello spettacolo rifletti su di te. Ti capita di confondere il lavoro con la vita?

«Faccio fatica a distinguere le due cose. Passo l’80% delle mie ore da sveglio scrivendo: per lo spettacolo, per il podcast, per le collaborazioni.L’altro giorno sul set mi sono accorto che tutti avevano sul telefono le foto dei propri affetti; io avevo il calendario degli impegni di novembre. È una tristezza, lo so. Sto diventando il mio lavoro».

Sei diventato un comico che fa riflettere. Ti va bene così?

«All’inizio volevo fare l’attore “serio”, essere Gabriele Lavia. Poi è arrivata la comicità, poi la televisione, e con loro anche i soldi. E per uno come me, che non poteva permettersi di vivere da teatrante puro, è stata una scelta naturale. Però oggi il mio mestiere è cambiato: il comico è diventato un po’ come un prete o un filosofo. Osserva, giudica, racconta le vite degli altri».

Che rapporto hai con Mestre e con il Veneto?

«Mestre mi piace, ci torno sempre volentieri. È anche l’occasione per rivedere l’amica Serena Bertolucci, che dirige l’M9. E poi in Veneto si sta bene, si mangia e si beve. Appena arrivo, la prima cosa che faccio è ordinare uno spritz».

Cosa deve aspettarsi il pubblico sabato sera?

«Uno spettacolo che sorprendentemente fa molto ridere, fin da subito. Si ride di noi, della nostra stupidità, di questa nebbia che ci sta prendendo il cervello. È una satira più “umana” che politica, ma forse per questo fa ancora più male, e più bene». —

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