Il linguaggio misterioso degli alberi dopo Vaia diventa un documentario
Dopo la tempesta e il bostrico, un team di scienziati si è messo in ascolto delle piante delle Dolomiti. “Il codice del bosco” racconta due anni di lavoro. E una scoperta sorprendente

È il 27 giugno 2021. Tre anni dopo la tempesta Vaia. Un uomo attacca dispositivi con cavi elettrici agli alberi delle Dolomiti in quota 1950 metri sul livello del mare: è lo scienziato Alessandro Chiolerio, che appronta il primo esperimento di comunicazione con il mondo vegetale sulle piante che ancora custodiscono il riverbero dell’uragano subendo al contempo l’attacco del bostrico, un minuscolo insetto che si nutre dell’abbondante quantità di alberi abbattuti, moltiplicando la sua azione anche sugli abeti sani.
Il documentario
Comincia così “Il codice del bosco”, bellissimo documentario di Alessandro Bernard e Paolo Ceretto, che racconta un’innovativa ricerca appena pubblicata sulla rivista Royal Society Open Science e svolta da Chiolerio (dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’Università del West of England) con Monica Gagliano (docente alla Southern Cross University in Australia).
Gli alberi hanno un loro linguaggio per comunicare la propria condizione? E se sì, questo linguaggio è decifrabile dall’uomo per poterlo utilizzare a fini preservativi e protettivi dell’ecosistema? Domande che suonano come chimere nel patrimonio delle scienze esatte e a cui è chiamata a rispondere una foresta ferita, sulla quale mani e volti dei ricercatori si posano con la precisione di un chirurgo e la leggerezza di uno sciamano.

La macchina da presa segue per due anni i movimenti degli scienziati ma anche degli automezzi che raccolgono ancora e ancora gli alberi caduti, dei tecnici che ne decretano la morte imminente ma anche di un giovane scultore in cerca di materia per la sua maschera da Krampus.
Il bosco, dal canto suo, pare agonizzante ma al contempo sembra abbia ancora molto da dire. Gagliano, pioniera della bioacustica vegetale, interpreta i segnali catturati dai suoi vibrofoni sognando di riuscire a trasferire ad altre piante l’informazione d’allarme, che lei traduce come: «C’è un bostrico nella zona, mettete su le difese!».
Tra tecnologia e mito
Tra nuove ipotesi scientifiche, antichi saperi e connessioni invisibili da esplorare, il film ci porta in un viaggio affascinante alla ricerca di un nuovo modo di vedere e vivere il nostro rapporto con la natura. Un racconto che intreccia tecnologia e mito, in cui il bosco si manifesta come un’entità viva, abitata da un genius loci con cui imparare a dialogare.
La camera da presa incontra quindi diverse prospettive, sguardi aperti e volontà di ascoltare, al fianco dei due ricercatori, tra il sapere locale e la pazienza della scoperta, che infine arriva, quasi inaspettata, rivelando la voce del bosco. Eh sì, perché dopo quasi due anni di ricerca senza apparenti risultati ecco il colpo di scena, durante un’eclissi di sole, i “cybertree” di Chiolerio emettono tutti lo stesso segnale elettrico, come se gli alberi si fossero “allineati” di fronte alla medesima condizione atmosferica.
È un primo sorprendente passo verso l’interpretazione di un nuovo linguaggio, che apre scenari non soltanto scientifici, su cui porre grande attenzione.
Come ascoltare il bosco
«Questa storia ci invita a metterci in ascolto», spiega il regista Bernard. «Come i due protagonisti dobbiamo osservare, avere pazienza, comprendere, nella relazione con l’altro: la società occidentale è molto adolescente, spacca, calpesta, ignora, ed è arrivato il momento di diventare un po’ adulti».
“Il codice del bosco” non è un documentario che illustra verità ma apre alla curiosità, al dubbio, ci fa comprendere che la scienza è una cosa viva e umana, e che gli scienziati sono persone capaci di non arrendersi ai fallimenti a cui spesso le loro ricerche sono soggette.
«Quello che doveva essere il resoconto lineare di un esperimento», continua Bernard, «è diventato un’esperienza inattesa e condivisa, che ci ha rivelato il vero cuore del processo scientifico: un viaggio fatto di ipotesi, errori e scoperte, dove pianificazione e imprevisti si intrecciano. Oggi si parla molto di Intelligenza Artificiale, ma forse abbiamo bisogno prima di tutto di riconnetterci con un’altra intelligenza: quella della natura. Serve un cambio di prospettiva, una nuova rivoluzione copernicana che ci aiuti ad abbandonare l’idea di essere il centro del mondo, per riconoscerci parte di un ecosistema più grande, abitato da specie che esistevano prima di noi, hanno sperimentato l’evoluzione molto più a lungo e forse hanno qualcosa da insegnarci. Credo sia questo il motivo di entusiasmo da parte del pubblico che sta assistendo con interesse e partecipazione alle proiezioni in giro per l’Italia».
Le proiezioni
Il documentario, prodotto da Zenit Arti Audiovisive e distribuito da OpenDDB, arriverà nel Triveneto l’11 luglio alle 21.30 all’Arena estiva di Schio, il 15 luglio alle 21 al cinema Verdi di Vittorio Veneto e il 31 luglio alle 21 alla Cantina Pitars per la rassegna Cinemadivino di San Martino al Tagliamento. —
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