“La vita va così” vince al botteghino, il regista: «Il mio film, un antidoto contro la rassegnazione»
Milani campione d’incassi: «E’ una storia di coraggio e di valori, portata avanti da gente normale che chiede cose normali, da un uomo che rivendica semplicemente un suo diritto»

Un anziano pastore sardo, che difende un piccolo angolo di mondo, tiene testa al magnificente Dracula, che attraversa il tempo e lo spazio. È la storia raccontata dal box office settimanale: al primo posto c’è “La vita va così” di Riccardo Milani, che oltre a battere il kolossal di Luc Besson “Dracula: l’amore perduto”, si attesta come il titolo italiano più visto al cinema negli ultimi sei mesi.
La straordinaria impresa di Davide contro Golia è anche la trama di “La vita va così”, ispirata alla vita vera di Ovidio Marras, ostinatamente contrario al resort di lusso che avrebbe deturpato il paesaggio di Capo Malfatano.

Milani, perché secondo lei questo film ha così tanto successo?
«C’è l’identificazione con una storia di coraggio e di valori, portata avanti da gente normale che chiede cose normali, da un uomo che rivendica semplicemente un suo diritto, non che fa una battaglia ideologica. Il suo agire crea un sussulto perché oggi siamo troppo rassegnati, accettiamo tutto perché la vita deve andare così, e il pastore ci sembra un eroe».
Come mai ha sentito il bisogno di parlare di ambiente?
«Perché volevo ricordare la figura di Marras, mancato a gennaio dell’anno scorso: lui ha rappresentato non solo la difesa del territorio, ma ha anche vissuto la spaccatura che il caso del resort aveva provocato nella sua comunità. L’aspetto ambientale è fortemente connesso alle questioni sociali, alla mancanza del lavoro e alla conseguente necessità di spostarsi per cercare soluzioni di vita in altri Paesi. Dal secondo dopoguerra in poi si è creato un cortocircuito tra lo sviluppo edilizio e la preservazione ecologica, senza che si sia trovato fino ad oggi in punto d’incontro».
E si potrà mai trovare?
«Probabilmente sì, se cominciamo a vedere la bellezza di un ambiente come un tesoro da valorizzare e non da sfruttare, questa è una distorsione del nostro tempo, e non vuol dire essere contro lo sviluppo, ma contro la cementificazione selvaggia come unica strada».
Cementificazione portata avanti dal capocantiere Aldo Baglio, che lei ha sganciato dal trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Una scommessa vinta?
«Mi piace da sempre come attore, perché riesce a spaziare su registri diversi, la fisicità, la sicilianità, l’ironia gentile e mai volgare, la capacità di fondere il comico con il drammatico. È l’unico personaggio ad avere un’evoluzione, una presa di coscienza che passa attraverso il suo spessore umano. È stata una scommessa che ha vinto lui».
La fusione del comico con il drammatico ha portato anche all’exploit del film di sua moglie Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”: com’è avere la concorrenza in casa?
«Siamo molto contenti io del suo successo e lei del mio, non c’è concorrenza ma entusiasmo per quello che sta avvenendo nelle nostre carriere».
Farete un film insieme?
«Non credo, perché ciascuno ha il proprio modo di vedere le cose».
Lei in Veneto ha girato la serie Rai “Di padre in figlia” a Bassano, e il film “Mamma o papà?” a Treviso: che ricordo ha?
«Sono legatissimo al Veneto, ho vissuto periodi bellissimi per l’affetto che ho ricevuto. E poi qui ho compreso l’idea del lavoro degli imprenditori veneti che, con serietà, dedizione e umiltà, fanno le cose in prima persona, si sporcano le mani, dimostrando di amare ciò che producono e come lo producono».
In “Mamma o papa?” lei ha scoperto la baby star di Ponte nelle Alpi, Alvise Marascalchi, che a soli sedici anni oggi è già un volto noto di cinema e serie di successo, come “Un passo dal cielo”. Che talento ha visto in lui?
«All’epoca aveva solo sette anni, ma era molto comunicativo, gentile, preciso, un piccolo grande interprete che, da come vedo, ha saputo conservare quella naturalezza, diventata poi il suo valore aggiunto. Ha avuto da subito un approccio misurato, non era il bambino frenetico che rincorre la visibilità».
Nel suo tour ha chiesto di poter passare al Cinemino dei colori nella pediatria dell’ospedale di Treviso: cosa pensa di questa iniziativa?
«Che è una spinta di partecipazione bellissima, un risveglio del lato umano che sento con grande trasporto. Oggi si sta perdendo lo spirito di comunità, ma questo progetto lo innalza splendidamente». —
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