La foresta del Cansiglio, da feudo di Belluno a sanguinoso teatro della lotta partigiana

Si estende in un’area fra tre province del Veneto e del Friuli. Fu anche terra dei Cimbri. Un museo racconta le antiche popolazioni. Nel “Bus de la Lum” (buco della luce), profondo 180 metri i combattenti gettarono i corpi di tedeschi e fascisti

Lucia AvianiLucia Aviani
ALTOPIANO DEL CANSIGLIO
ALTOPIANO DEL CANSIGLIO

C’è un altopiano che si allarga tra Veneto e Friuli, fra le province di Belluno, Treviso e Pordenone, in un abbraccio verde dal nome solenne: il Cansiglio, con la sua immensa, lussureggiante foresta – così celebre da aver assunto un’aura quasi mitica –, corre sulle Prealpi Carniche sovrastando a sud e a est la pianura veneto-friulana. Caratterizzato da una forma a catino, nella parte centrale è composto da tre depressioni, Pian Cansiglio, Valmenera e Cornesega, il punto in cui si raggiunge la quota più bassa (898 metri).

Affascinante la storia di questi luoghi, documentata fin da tempi remotissimi: la prima testimonianza scritta sul “bosco d’Alpago” (come all’epoca veniva chiamata la foresta del Cansiglio) risale al 923: si tratta di un diploma con cui Berengario I, incoronato re d’Italia grazie all’appoggio della Chiesa, formalizzava il dono del territorio al feudo del vescovo-conte di Belluno. Nei periodi che seguirono si succedettero numerose concessioni di diritto di pascolo, sia ad enti che a privati, ma fu nell’epoca dei Comuni, quando il Cansiglio divenne proprietà della comunità di Belluno, che la pressione dell’attività pastorale sulla foresta si acuì. La situazione si alleggerì a partire dall’inizio del XV secolo, quando l’area bellunese chiese protezione alla Repubblica di Venezia: per la Serenissima si trattò certamente di un grande affare, considerate le riserve lignee garantite dalla ricca faggeta, che diede un apporto determinante alla produzione di remi (la foresta venne ribattezzata “il bosco delle reme”), legname da opera e carbone.

Le fasi successive, che registrarono un’alternanza “gestionale” disattenta da parte del governo francese e di quello austriaco, diedero alle popolazioni locali chance di rivalsa su quell’immenso patrimonio, fino a quando nel 1861, dopo la nascita del Regno d’Italia, il governo dichiarò il Cansiglio foresta demaniale inalienabile.

Il Novecento, invece, trasformò l’altopiano e i suoi boschi in scenario di resistenza: fu lì che si stabilì il quartier generale dei volontari unitisi alla lotta partigiana. Nel “Bus de la Lum” (buco della luce), cavità profonda circa 180 metri, i combattenti gettarono i corpi dei militari tedeschi e fascisti uccisi: 94 i corpi recuperati da quell’inghiottitoio che oggi è monumento nazionale, a memoria e monito contro le atrocità della guerra. Il sito, tuttavia, è pure intriso di leggende: una di esse narra che fosse popolato dalle anguane, creature mitologiche legate all’acqua, sorta di sirene montane che rapivano i bambini per cibarsene. Il bagliore dei fuochi accesi da queste fate crudeli indusse i pastori della zona – così riporta la credenza popolare – a chiamare la grotta “buco della luce” .

Il Cansiglio (il cui patrimonio floristico è tale da aver suscitato interesse nei botanici fin dalla prima metà del Settecento) è stato pure terra dei Cimbri, popolo di origine bavarese insediatosi a partire dal Medioevo, attratto dalla ricchezza di materia prima per la realizzazione di oggetti indispensabili per la vita quotidiana. Le vicende di queste antiche genti sono ripercorse nel Museo regionale dell’Uomo in Cansiglio “Anna Vieceli” e nel Centro etnografico e di cultura cimbra in Pian Osteria.

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