Cremonini incendia l’Euganeo: show per 40 mila
La pioggia spaventa i fan giunti da tutta Italia per il concerto dell’ex Lunapop. Poi vince la musica, 27 canzoni tutte da cantare: «Padova, vieni con me»

Entra in scena con gli occhiali scuri e una giacca colorata di bianco, di rosa e di blu, sopra la tshirt nera; una chitarra elettrica a tracolla con cui saltare subito in questa fresca serata padovana dopo la pioggia, davanti ai quarantamila dell’Euganeo che lo salutano con un boato.
Cesare Cremonini parte alle 21.35 con la solitudine delle aurore boreali di Alaska Baby, l’album ispirato dal suo viaggio americano del 2022, in solitaria, che lo avrebbe spinto a cambiare il concetto di show. E ci mette un attimo a incendiare questo stadio.

«Buonasera Padova come stai? Mi sei mancata. Stanotte vorrei vedervi abbracciati. Viaggeremo insieme e voglio portarvi nei posti dove sono stato. Tutto quello che ho vissuto è diventato musica, passione, liberazione: è incredibile quello che si può fare con il dolore. Incredibile quello che fa l’amore. Padova vieni con me!», le sue prime parole, per poi lanciare “Il comico” e sviluppare un po’ alla volta una scaletta di 27 canzoni, una compilation che è un abbraccio tra due, tre generazioni di fans. Sono canzoni che danno la misura artistica dell’ex Lunapop.
Perché a riviverle così, in ordine sparso, capisci che sono tutte capaci di aprirti una porticina del cuore, entrano nella tua memoria personale, ridanno vita alla tua vita.
E ognuno di noi, qui nel buio spezzato dalle luci calde dell’immenso palco, ha la sua canzone preferita da cantare a squarciagola: “Ora che non ho più te”, “La ragazza del futuro”, “PadreMadre”, “Mondo”, “Poetica”, “Nessuno vuole essere Robin” e “Un giorno migliore” a chiudere la notte di Padova. Forse non esiste un cantautore della grandezza poetica e musicale di Lucio Dalla, ma Cesare Cremonini è oggi l’unico erede di quel cantautorato pop.
Cremonini ha cominciato a raccontare la vita 25 anni fa con canzoni che hanno la magia di suscitare immagini. Quel “Qualcosa di grande” che questo artista bolognese ha costruito, è una piramide di canzoni che sanno diventare spezzoni di film, flash che si infrangono nelle nostre emozioni con piccoli gesti: la mano che trova la marmellata, il piede che spinge l’auto a duecento all’ora, la madonna di San Luca nel buio mentre pensi al futuro, il cane che dorme con te la notte in cui l’amore finisce.
Un patrimonio italiano che ci ha fatto cantare, piangere, ridere e sognare in un concerto indimenticabile: per la narrazione, per l’estetica del palco (Giò Forma e NorthHouse , già con i Coldplay) e per questo bellissimo pubblico.
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