“Happy Holidays”, famiglia e contraddizioni in una Haifa divisa
Il regista palestinese Scandar Copti firma un dramma corale, premiato a Venezia, che attraversa colpa, identità e condizionamenti in una società attraversata da tensioni invisibili

Inizia con la festività ebraica di Purim, che celebra la salvezza del popolo ebraico da una cospirazione per distruggerlo, e termina con lo Yom HaZikaron, il giorno del ricordo dei caduti per la libertà di Israele: eppure l'augurio del titolo, "Happy Holidays", non potrebbe suonare più ironico, denso di significati e soprattutto riflesso dei tanti temi affrontati nell'intrigante film del regista e sceneggiatore palestinese Scandar Copti: un'opera non comune di grande potenza ma a rilascio lento, che si sedimenta gradualmente nello spettatore.
Come tessere di un mosaico che pian piano si compone, infatti, seguiamo quattro episodi per quattro personaggi, con un filo invisibile a legarli.
Sono i componenti di una famiglia araba di Haifa: Rami è alle prese con la fidanzata ebrea che ha cambiato idea sull'aborto già deciso; la madre cerca di ovviare alle difficoltà economiche chiedendo il rimborso assicurativo per l’incidente della figlia Fifi; Miri cerca di aiutare a risolvere la gravidanza della sorella incinta di Rami ma si scontra con gli strani comportamenti di sua figlia.
E Fifi? Custodisce un segreto, qualcosa che potrebbe far deragliare la reputazione dell'intera famiglia, oltre che il suo futuro.
L'acuta struttura narrativa di questo dramma familiare, complessa e premiata a Venezia 2024, è innervata da una tensione continua, tra sensi di colpa e pregiudizi: a serpeggiare in ogni fotogramma è infatti l'oppressione sociale e politica e il condizionamento culturale che imprigiona i protagonisti, intrappolati in un sistema che plasma la loro realtà.
Al talentuoso Copti non interessa se buono o cattivo, se giusto o sbagliato ma il mettere in luce i processi di tale costruzione, dall'impostazione patriarcale alla militarizzazione della società, facendoci ogni volta aggiustare il tiro mettendo in discussione l'assunto fino a quel momento dedotto: quasi un ciclo da cui i suoi personaggi non possono riuscire a sfuggire.
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