Gauguin, Wyeth, Rothko: tre emozioni nel tempo in mostra a Villa Manin
Nella rassegna di Passariano, a cura di Marco Goldin, il percorso espositivo propone le varie declinazioni del termine “confine” attraverso tanti, meravigliosi capolavori della pittura dell’Ottocento e del Novecento. Franca Marri, critica d'arte e curatrice indipendente, ha scelto tre opere

La parola confine contiene in sé molteplici significati: evoca l’idea di una divisione ma anche di una vicinanza, di un limite ma anche di una soglia; può essere riferita a uno luogo fisico o a una dimensione interiore.
Nella mostra da poco inaugurata nell’Esedra di Levante di Villa Manin di Passariano “Confini. Da Gauguin a Hopper. Canto con variazioni” a cura di Marco Goldin, il percorso espositivo propone le varie declinazioni di questo termine attraverso tanti, meravigliosi capolavori della pittura dell’Ottocento e del Novecento. Opere che invitano lo spettatore a guardare dentro, a guardare oltre, a guardare ancora. Ecco tre esempi.
- 1 Il dipinto scelto a immagine della rassegna, “Parau Api (Quali novità?)”, prestato dall’Albertinum di Dresda, rappresenta il confine quale limite nello spazio, nella geografia del mondo che il suo autore ha attraversato. Paul Gauguin lo dipinge durante il suo primo soggiorno in Polinesia nel 1892, ritraendo due donne tahitiane sedute, assorte, nella veranda di una tipica casa del luogo dove lo stesso artista aveva scelto di stare, quale luogo della vita. Una striscia blu indica il mare, una verde la laguna, un’altra grigia la sabbia. Nato a Parigi nel 1848, Gauguin quando aveva soltanto un anno si era ritrovato in Perù, insieme alla madre, per poi ritornare in Francia, a Orleans, a 17 anni. Il suo spirito inquieto, la sua ricerca che è anche una ricerca esistenziale, lo porteranno a viaggiare oltrepassando confini e oceani, dalla Bretagna alla Martinica, dalla Provenza a Tahiti fino a Hiva Oa, nelle isole Marchesi. La ricerca del primitivo, del selvaggio, dell’esotico lo porta ad accendere la sua tavolozza di colori intensi, vivaci e vitali come quelli di questo dipinto, testimoni di un’autenticità dell’esistenza che non riuscì mai pienamente a raggiungere, ma che inseguì sempre tenacemente.

- 2 Per l’idea di un confine emotivo, sospeso, tra il detto e non detto, il respiro e il silenzio, di grande suggestione è “Vento d’aprile” di Andrew Wyeth. Nato a Chadds Ford in Pennsylvania nel 1917, Wyeth muore nel 2009 nella stessa abitazione in cui era venuto al mondo. Di salute cagionevole, da bambino viene istruito in famiglia, con il padre noto illustratore che gli insegna a disegnare e dipingere. I soggetti preferiti sono la terra e le persone che lo circondano, sia nella sua città natale in Pennsylvania, sia nella casa dove trascorreva le vacanze estive, a Cushing nel Maine. Il quadro deò 1952, prestato dal Wadsworth Atheneum Museum di Hartford, mostra un uomo di spalle, seduto su un tronco di un albero bruciato, con il cappotto logoro mosso dal vento e un anello al dito; il cielo azzurro chiaro, quasi bianco, a suggerire il nulla. La pittura descrive una realtà tangibile, eppure si avverte una tensione verso qualcosa di indefinito, nella sensazione di un’assenza.

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3 Una terza opera che può considerarsi emblematica dell’intera esposizione, offre all’osservatore la possibilità di immergersi totalmente, con lo sguardo, in una pittura ipnotica e infinita: è “Senza titolo” di Mark Rothko. Datata al 1962, proviene dalla Staatsgalerie di Stoccarda ed è posta quasi alla fine della mostra, in uno spazio specifico. Nato nel 1903 a Daugavpils in Lettonia, Rothko era emigrato con la famiglia negli Usa quando aveva dieci anni. A New York diventa il principale esponente della cosiddetta “color field painting”, una pittura astratta caratterizzata dall’uso di grandi tele coperte da ampie campiture di colore dilatate sull’intera superficie, senza alcun interesse per segni e forme. Insieme agli amici artisti Adolph Gottlieb e Barnett Newman, in una lettera inviata al critico d’arte del New York Times Edward Alden Jewell, enuncia i fondamentali del nuovo astrattismo americano affermando che l’arte è «un’avventura in un mondo sconosciuto, che può essere esplorato solo da chi intende assumersene il rischio». Capaci di unire impressionismo, espressionismo, astrattismo, le tele suggeriscono atmosfere vibranti, cariche di spiritualità, assolute, alludendo a orizzonti e dimensioni ulteriori, come avviene con l’oro delle icone bizantine. Eliminando ogni limite spaziale e temporale; eliminando ogni forma di confine.
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