Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 12 dicembre

Jack Huston, nipote di John, esordisce alla regia con “Il giorno dell’incontro”, storia di un pugile sconfitto dalla vita in cerca di redenzione. In sala anche un’altra opera prima: “Solo per una notte” di Maxime Rappaz. Due fratelli per caso: è “L’orchestra stonata” di Emmanuel Courcol

Marco Contino e Michele Gottardi
Il film "L'orchestra stonata"
Il film "L'orchestra stonata"

“Il giorno dell’incontro” racconta la “via crucis” di un pugile in frantumi: Jack Huston ne scopre, lentamente, traumi e tormenti, seguendo “Mikey l’irlandese” in un pellegrinaggio che dura solo un giorno ma che è lungo come una vita intera.

Maxime Rappaz firma con “Solo per una notte” un’intensa storia di emancipazione femminile che segue Claudine, una madre che, spinta da un amore inatteso, riscopre il desiderio di libertà e si interroga sul proprio futuro.

Quando il destino fa lo sgambetto: due uomini scoprono, per caso, di essere fratelli, adottati da famiglie diverse e dirottati su sponde opposte della società. Ma la musica riunisce borghesia e proletariato: “L’orchestra stonata” è una piccola sinfonia, uno “sliding doors” alla francese che non disdegna le pieghe militanti alla Ken Loach.

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Il giorno dell’incontro

Regia: Jack Huston

Cast: Michael Pitt, Steva Buscemi, Ron Perlman, Joe Pesci, Nicolette Robinson, John Magaro

Durata: 105’

Il film "Il giorno dell'incontro"
Il film "Il giorno dell'incontro"

“Mikey l’irlandese” (Michael Pitt) è un pugile, ex campione dei pesi medi, “condannato a vita”. Il suo passato sanguina per gli errori commessi: la dipendenza dall’alcol gli ha distrutto la carriera e spezzato i legami familiari ma, soprattutto, è stata la causa di un evento tragico che lo perseguita ancora.

Dieci anni dopo il suo ultimo incontro, disintossicato, ma in frantumi, ha la possibilità di affrontare sul ring il campione in carica della categoria: per Mikey non sarà solo un match di boxe, in gioco c’è tutta la sua vita.

“Il giorno dell’incontro”, diretto da Jack Huston - attore dalla discendenza “pesante”: il nonno era il grande John, autore, tra l’altro, di “Città amara – Fat City”, uno dei tanti film omaggiati dal nipote in questa sua opera di esordio alla regia - segue il protagonista dal mattino fino alla notte dopo il match.

Nell’arco di questa lunga giornata, gli incontri di Mickey, altrettante stazioni della sua personale “via crucis”, svelano a poco a poco il passato di violenze, i tormenti e la sua stessa, caparbia, volontà di fare di tutto per rendersi la vita insopportabile. Punizione e redenzione, colpa ed espiazione sono i veri angoli del suo ring interiore.

Questo pellegrinaggio passa dallo zio (Steve Buscemy) al suo storico allenatore (Ron Perlman), dalla ex compagna (Nicolette Robinson), all’amico prete (John Magaro) per concludersi al cospetto del padre Tony (Joe Pesci: suo il brano “If I ever lost you” che ascoltano insieme), ormai svanito nella demenza senile, causa dei suoi traumi infantili ma anche specchio dei suoi fallimenti.

Ed è proprio in questo graduale meccanismo disvelatore, come un pugile che, lentamente, abbassa le difese, scoprendosi, che “Il giorno dell’incontro” offre i momenti più suggestivi e riusciti, più che nel pathos del match finale, negli stilemi del genere pugilistico o nelle innumerevoli citazioni cinematografiche (da “Rocky” a “Toro scatenato” fino a “The Wrestler”).

Con una scelta, quella della fotografia in bianco e nero, che sembra quasi voler sottrarre il film alla dimensione temporale, come se il viaggio di Mikey disegnasse la parabola di tutti gli uomini disarcionati ma capaci di un ultimo, disperato, sforzo per scontare quella “condanna a vita” che è stata la loro esistenza. Solo allora, quando la morsa della sofferenza si allenta, si può sognare: un ultimo dialogo con il padre e un futuro diverso e migliore per le persone amate. (Marco Contino)

Voto: 6,5

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Solo per una notte

Regia: Maxime Rappaz

Cast: Jeanne Balibar, Thomas Sarbacher, Pierre-Antoine Dubey, Alex Freeman

Durata: 93’

Il film "Solo per una notte"
Il film "Solo per una notte"

Con i suoi 285 metri di altezza, la diga svizzera della Grande Dixence, nel Canton Vallese, è la diga più alta d'Europa e la terza più alta al mondo. Un paesaggio metaforico e ricco di fascino, non solo alpino, che fa da sfondo alla non meno impervia vicenda esistenziale di Claudine, nel film dell’esordiente Maxime Rappaz che in originale è ancora più esplicito di “Solo per una notte” col titolo di “Lasciami sola” o anche “Lasciami andare”.

Claudine (Jeanne Balibar), è una donna che ogni martedì incontra uomini di passaggio in un albergo di montagna e che si trova improvvisamente a dover affrontare un cambiamento nella propria routine quando uno dei suoi incontri decide di prolungare il soggiorno. Questo evento sconvolge la vita di Claudine, che si ritrova a sognare una vita diversa da quella che ha sempre condotto, prendendo anche in seria considerazione di lasciare quella prigione che lei stessa sia è costruita, accudendo un figlio autistico ormai grande, il suo mestiere di sarta a domicilio, spersa in un villaggio vallese, dando spazio, invece, a desideri repressi costretti in una realtà ben diversa.

Nella scelta di non legarsi mai a nessuno oltre quei brevi incontri, che Jeanne Balibar gestisce con sentimentale distacco, al limite dell’ossimoro, c’è l’intenzione, destinata a saltare, di concedersi qualche soddisfazione in altura, restando tuttavia ben dentro il proprio piccolo mondo in valle, fatto di pietose bugie per Baptiste (Pierre-Antoine Dubey), fanatico di lady Diana e di Johnny Logan.

Un mondo che andrà in pezzi a cominciare dall’incidente mortale della principessa di Galles (siamo appunto nel 1997), ma, per lei, soprattutto per l’incontro, non più solo per una notte, con un ingegnere idraulico tedesco, Michael (Thomas Sarbacher).

Maxime Rappaz dà spazio all’intensa performance di Jeanne Balibar, che diventa prototipo di un’emancipazione individuale, prima che sociale, davanti alla quale il regista non parteggia, né giudica, ma racconta e descrive, come un fotografo alpino, le vette e i precipizi delle passioni e dell’esistenza. (Michele Gottardi)

Voto: 6,5

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L’orchestra stonata

Regia: Emmanuel Courcol

Cast: Benjamin Lavernhe, Pierre Lottin, Sarh Suco

Durata: 103’

Il film "L'orchestra stonata"
Il film "L'orchestra stonata"

In una drammatica circostanza, due uomini adulti scoprono di essere fratelli, adottati da piccoli da famiglie diverse. Il primo, Thibaut, è un famoso direttore d’orchestra: sofisticato, elegante, giramondo. Il secondo, Jimmy, è il cuoco di una mensa in un villaggio di minatori del nord della Francia dove la crisi economica morde forte e le fabbriche chiudono.

Tra i due, Thibaut è quello che ha pescato il biglietto vincente ma prova un senso di colpa per quel fratello che suona il trombone nella fanfara del paese ma, forse, con la giusta spinta del destino, avrebbe potuto essere e fare di più. Jimmy si è dovuto accontentare di modesti premi di consolazione e il volto di successo del fratello ritrovato non fa che riflettere l’immagine della persona che sarebbe potuta essere.

“L’orchestra stonata” di Emmanuel Courcol ha il delizioso incedere di uno “sliding doors” alla francese: parte da uno scherzo del destino che dirotta i due fratelli su sponde opposte della società (l’alta borghesia da una parte e il proletariato dall’altra) per approdare ad un cinema persino militante (alla Ken Loach) quando Thibaut prova a convincere la fanfara ad organizzare un concerto per riportare l’attenzione dei media sulla chiusura della fabbrica del paese.

In mezzo, la vicenda familiare con quelle faticose empatie, repentini rancori e cambi di umore anche se, alla fine, il sangue, i geni (e, soprattutto, il cuore) non mentono mai.

Courcol dimostra grande capacità nel passare da un registro all’altro, si direbbe a tambur battente, per come, in pochi minuti, racconta, senza liquidarlo (ma, al contrario, rendendolo ancor più efficace nella ellissi) l’incontro rocambolesco tra i due fratelli e l’ingresso dell’uno nella vita dell’altro (un regista italiano, forse, si sarebbe soffermato almeno mezz’ora).

Divertente lo scontro tra la cultura di Thibaut e il coro ruspante della banda di paese che accompagna e asseconda i modi i modi spicci e istintivi di Jimmy. Il finale è da lacrimuccia (in fondo, anche il biglietto vincente della lotteria della vita ha il suo prezzo...). Si esce dal cinema leggeri, con la voglia matta di intonare le note del Boléro di Ravel. (Marco Contino)

Voto: 7

 

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