Se «Amici miei» duella con «Fantozzi»
I 50 anni di due pellicole cult che hanno cambiato il costume del Paese: le zingarate dei primi e lo stile realistico del secondo sopravvivono al tempo
Che anno, quell’anno! Cinematograficamente parlando, il 1975, di cui ricorrono i 50 anni, fu ricchissimo. A scorrere i repertori, di film celebri ce ne sono a decine, in paesi e continenti diversi, con generi e registi spesso agli antipodi.
Anno fortunato, come certe vendemmie, o forse il segnale di un cinema vivo che produceva, in quantità ben diversa da oggi, capolavori e film di alto contenuto etico ed estetico?
Giudicate voi: il 1975 fu l’anno de “Lo squalo” ma anche di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, “Quel pomeriggio di un giorno di cani”, “Nashville”, “I tre giorni del condor”, “Amore e guerra” o “Barry Lyndon”. E in Italia? Con i grandi maestri sul viale del tramonto o appena scomparsi – nel ’75 esce postumo “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini, ucciso pochi mesi prima – il cinema di casa nostra sembrava sepolto da una marea di commesse, insegnanti, supplenti, infermiere, nuore giovani e mogli vergini, di film a episodi boccacceschi a evocare tutti “Quel gran pezzo dell’Ubalda” che nel 1972 aveva consacrato Edwige Fenech nel genere erotico-godereccia.
Sequel e repliche
Pochi i film che si salvano, da “Il sospetto” di Francesco Maselli con Gian Maria Volontè a “Profondo Rosso” di Dario Argento, o “Yuppi Du” di e con Adriano Celentano, con molte sequenze veneziane.
E altre due pellicole che diedero il via a sequel e repliche, oltre a influenzare modi, battute e persino il lessico: “Amici miei” e “Fantozzi”. Le zingarate e le supercazzole dei primi o lo stile mostruosamente realistico del secondo sono entrati nel linguaggio comune degli italiani, al punto che l’aggettivo “fantozziano” è accettato dalla stessa Treccani, che lo definisce «persona impacciata e servile con i superiori», per non parlare della poltrona in pelle umana, del direttore megagalattico, della nuvola dell’impiegato, della salivazione azzerata e dello scempio dei congiuntivi.
Il primo a uscire fu proprio Fantozzi, il 27 marzo, mentre Amici miei venne proiettato nelle sale dal 24 ottobre. Entrambi monopolizzarono i record di incassi, il primo con più di sei miliardi di vecchie lire, rimanendo in prima visione più di otto mesi; il secondo invece fu il top della stagione successiva, con oltre sette e miliardi e mezzo di lire.
Ma vi sono altre storie simili che accomunano i due film, che, infatti, in origine dovevano essere girati da altri registi.
Quando venne pubblicato il primo libro dedicato al ragionier Fantozzi, Paolo Villaggio era noto per le apparizioni televisive a “Quelli della domenica” con il professor Kranz (quello di “Chi viene voi adesso?”) e Giandomenico Fracchia, personaggio quest’ultimo che in parte trova spazio nel successivo Fantozzi, dapprima raccontato da alcuni monologhi in televisione e poi, dopo alcune uscite sull’Europeo, edito da Rizzoli nel 1971 (“Fantozzi) e nel 1974 (“Il secondo tragico libro di Fantozzi”).
Il ragionier Fantozzi
Villaggio e Rizzoli pensarono subito a Salvatore Samperi per la trasposizione sul grande schermo, ma l’idea venne ripresa dopo l’uscita del secondo libro, affidandone la regia a Luciano Salce, trasportando le vicende del ragioniere a Roma, più anonima rispetto all’originaria Genova.
Anche la scelta di dare volti poco noti agli altri ruoli rispondeva a criteri precisi, perché l’universo dei travet dei vari Filini, la Silvani e gli stessi familiari di Fantozzi non venisse snaturato da attori celebri. Milena Vukotic infatti subentrò a Liù Bosisio nel ruolo della signora Pina solo al terzo episodio.
In quell’umorismo dissacrante e agrodolce, dal gusto talmente russo che Villaggio vinse il premio Gogol, Fantozzi diventava un “uomo senza qualità”, ma senza la convinzione di essere qualcuno come il personaggio di Musil.
Come scrive il Mereghetti, «Fantozzi, come la maggioranza dell’umanità, non ha talento. E lo sa. Non si batte né per vincere né per perdere, ma per sopravvivere». Anche sbeffeggiando un capolavoro come “La corazzata Potëmkin” di Sergej Ėjzenštejn, storpiata nel titolo, nell’autore e nella durata dilatata, modello dei cineforum con dibattito.
Raccontare l’Italia
La collaborazione con Salce durò anche per il successivo, mentre altri sette film furono diretti da Neri Parenti e l’ultimo (1999) da Domenico Saverni.
“Amici miei” invece doveva essere girato da Pietro Germi, ormai molto malato e anche il titolo è fatto risalire a una sua espressione di commiato: ne firmò comunque la sceneggiatura, assieme a Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, gli stessi di “Fantozzi”, e a Tullio Pinelli. Come raccontò il regista Mario Monicelli, principe della commedia all’italiana, per ideare le “zingarate”, gli autori si ispirarono a fatti realmente accaduti o aneddoti noti a Firenze in quegli anni.
I cinque protagonisti, che non sono dei “vitelloni”, hanno tutti lavoro e professione, tra un architetto, un giornalista, un medico, un barista e un nobile decaduto.
Nella lettura di Monicelli le loro scorribande appaiono più goliardiche e dissacranti di quanto le avesse pensate Germi in chiave sicuramente più pessimista, pur restando venate di un tono crepuscolare proprio di chi non si rassegna alle amarezze della vita, allo scorrere del tempo e all’ingiuria degli anni.
"Zingarate”
Ne risulta una serie di “zingarate”, appunto, che incontrarono il gusto del grande pubblico, non solo per l’assoluta follia delle loro azioni (tipica su tutte la schiaffeggiata dei viaggiatori su un treno in partenza citata da molti, tra i quali lo stesso Fantozzi che però la fa su un treno in arrivo e viene inseguito dalla folla), quanto per aver mescolato il gusto boccaccesco della beffa con una vita vissuta come una barzelletta infinita, come nel racconto della supercazzola, non-sense condito di parole reali pronunciate al solo scopo di confondere l’interlocutore, il senso dell’amicizia virile mescolata con il cinismo vitalistico di chi sa che comunque la corsa avrà una fine prossima.
Il cast (Gastone Moschin, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi) rimase invariato anche negli episodi successivi, con l’unica sostituzione di Duilio Del Prete con Renzo Montagnani.
All’inizio anche Marcello Mastroianni e Raimondo Vianello avrebbero dovuto far parte della allegra combriccola, ma declinarono perché poco avvezzi a recitazioni così corali.
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