Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 22 maggio

Gran finale, dopo 30 anni, della saga che ha per protagonista l’agente Ethan Hunt: “Mission: Impossible – The Final Reckoning” entusiasma. Unico film italiano a Cannes: esce in sala “Fuori” di Mario Martone

Marco Contino e Michele Gottardi
Il film "Mission impossible. The finale reckoning"
Il film "Mission impossible. The finale reckoning"

Tom Cruise torna per l’ultima volta (?) nei panni dell’agente dell’IMF Ethan Hunt. Christopher McQuarrie dirige l’ultimo capitolo della saga “Mission: Impossible”. “The Final Reckoning” è la degna conclusione di un genere cinematografico che non sarà più lo stesso, orfano del suo muscolare ed eterno sacerdote.

Da “L’arte della gioia” a “Fuori”, da Valeria Golino a … Valeria Golino. Che, dopo aver dato forma cinematografico-seriale al romanzo di Goliarda Sapienza, ora interpreta direttamente la scrittrice siciliana nel film di Mario Martone che racconta un pezzo della sua storia. Nel cast anche Matilda De Angelis ed Elodie.

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Da “L’arte della gioia” a “Fuori”, da Valeria Golino a … Valeria Golino. Che, dopo aver dato forma cinematografico-seriale al romanzo di Goliarda Sapienza, ora interpreta direttamente la scrittrice siciliana nel film di Mario Martone che racconta un pezzo della sua storia. Nel cast anche Matilda De Angelis ed Elodie.

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Mission: Impossible – The Final Reckoning

Regia: Christopher McQuarrie

Cast: Tom Cruise, Simon Pegg, Ving Rhames, Hayley Atwell, Esai Morales, Henry Czerny, Pom Klementieff, Angela Bassett

Durata: 170’

 

Quando finisce una saga che dura da quasi 30 anni (il primo capitolo di “Mission: Impossible”, diretto da Brian De Palma, debuttò negli Stati Uniti il 22 maggio del 1996 … attenzione alla data …), resta la consapevolezza (razionale) di aver più che sfruttato la vena di intrattenimento spettacolare (correndo il rischio di necrotizzarla) ma anche lo smarrimento (tutto cuore) di risvegliarsi sapendo che quei protagonisti, quella famiglia cinematografica, non tornerà più (forse).

L’epilogo delle avventure dell’agente dell’IMF Ethan Hunt (l’eterno Tom Cruise) – “Mission: Impossible – The Final Reckoning, ottava puntata in stretta continuità con la precedente, la quarta consecutiva diretta da Christopher McQuarrie, anche produttore insieme allo stesso Cruise – è la degna conclusione di un’epica superomistica (e non è un caso che qui, più che in altri capitoli, Ethan Hunt assurga a moderno Prometeo che si contrappone non tanto agli dei, quanto a un anti-dio, con tanto di fuoco algoritmico da rubare) e di un genere cinematografico che non sarà più lo stesso.

Cruise ha portato l’action spionistico a un livello sempre più spettacolare e muscolare, diventandone l’indiscusso sacerdote (e, in fondo, Hunt è il più asceta degli agenti segreti, un maschio alfa casto che resiste alle tentazioni, ligio solo alle regole, le sue, ma sempre e solo per il bene superiore di chi ha conosciuto, di chi conosce e di chi non conoscerà mai).

Tocca ancora a lui salvare il mondo dalla minaccia più grave di sempre: l’Entità, una intelligenza artificiale senziente che ha ormai preso il controllo di tutto il mondo (soprattutto degli arsenali nucleari) ed è pronta a sterminare, in un batter di ciglia, il genere umano in nome di una civiltà superiore, che è anche diventata oggetto di un culto popolare cieco e dogmatico.

Insieme ai fidati Luther (Rhames) e Benji (Simon Pegg), alla ladra Grace (Hayley Atwell) e alla sicaria pentita Paris (Pom Klementieff), Hunt deve catturare Gabriel (Esai Morales), il braccio armato dell’Entità (ora ripudiato dalla stessa), per neutralizzarla. In un simbolico verticalismo (dagli abissi del mare, ai cieli sopra il Sudafrica), Hunt si oppone con tutte le forze alla realtà (falsa e multiforme: non molto diversa dalla attuale infodemia) dell’Intelligenza Artificiale per un futuro che sia il frutto della somma di libere scelte e non di un fatalismo ineluttabile.

L’impossibile del titolo diventa sempre più impossibile fino a sconfinare nella fantascienza (potente la sequenza nel sottomarino, quasi da “2001 Odissea nello spazio” come, del resto, l’Entità è la progenie di HAL 9000), nell’avventura archeologica alla “Indiana Jones” (nel caveau dell’Apocalisse) fino alla battaglia nei cieli dove Hunt diventa quasi un uomo di gomma, maschera delle maschere di silicone

 

che da sempre caratterizzano la saga.

 

 

 

La coppia Cruise/McQuarrie getta in mare la rete che, tirata su, riporta alla luce tantissimi frammenti dei capitoli precedenti, li incastra nella nuova trama svelando cause ed effetti, azioni e reazioni (lo stesso Hunt è stato, in passato, motore inconsapevole degli eventi di oggi ma anche demiurgo delle vite degli altri, come quella dell’analista della CIA che riappare dopo 30 anni direttamente dal film originario con la rivelazione delle sue personalissime “sliding doors”), per arrivare, dopo quasi tre ore di morsa spettacolare che non offre tregua, a un finale … senza parole. “Mission: Impossible – The Final Reckoning” è, davvero, la resa dei conti finale.

Certo, con qualche difetto dovuto, principalmente, alla inevitabile serialità di alcune situazioni e ad un villain un po’ polveroso (che, forse, sarebbe stato più adatto a impersonare la nemesi di un James Bond: la perfidia e la presenza di Philip Seymour Hoffman nel terzo capitolo della saga restano inarrivabili).

Ma, in fondo, sono piccoli bug di un sistema che è riuscito, in trent’anni, a creare, davvero una realtà cinematografica parallela in cui è stato affascinante perdersi. “Good Luck!” agente Hunt, anche se nel film, proprio il concetto di fortuna che riecheggia più volte nelle battute di molti dei personaggi (Presidentessa degli Stati Uniti – Angela Bassett – compresa) non esiste. Perché Ethan Hunt è la quintessenza dell’uomo “faber fortunae suae”, ultimo templare dell’action anni ’90. E ci mancherà. (Marco Contino)

Voto: 7,5

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Fuori

Regia: Mario Martone

Cast: Valeria Golino, Elodie, Matilda De Angelis

Durata: 115’

Il film "Fuori"
Il film "Fuori"

La vita contaminata e mai troppo fortunata di Goliarda Sapienza, l’autrice dell’“Arte della gioia”, arriva sullo schermo portata da Mario Martone e grazie a un intreccio casuale, ma non tanto, il personaggio è interpretato da Valeria Golino, regista della miniserie Sky proprio sul suo grande successo postumo. Così il titolo assume un valore simbolico ed evocativo: “fuori” dal carcere, ma anche dagli schemi e da quella stessa società borghese e snob della Roma bene, che pure aveva iniziato a frequentare, un fuori esistenziale in continuo divenire, dall’uscita dal carcere in poi.

Martone non cade nella trappola del santino, del biopic letterario che esalti l’eroina incompresa. Viceversa grazie a un montaggio intelligente e alternato evita gli eccessi letterari (il film è comunque tratto dal romanzo L’università di Rebibbia che Ippolita di Majo ha tradotto in un soggetto poi sceneggiato assieme allo stesso Martone), sfuma i personaggi di contorno che risultano perfetti: Matilda De Angelis (Roberta) ed Elodie (Barbara) sono una conferma e una scoperta e la stessa Golino è qui in uno dei suoi ruoli più sentiti e ispirati, grazie anche probabilmente alla condivisione precedente con la miniserie Sky.

La vicenda del film è incentrata su un episodio della vita di Goliarda, figlia di anarchici e antifascisti e quindi da sempre poco affine all’establishment: il furto di alcuni gioielli dalla casa di un’amica durante una festa, per potersi pagare l’affitto della sua bella casa al Parioli che i suoi magri guadagni da correttrice di bozze, pubblicista e scrittrice sfiorano l’indigenza.

Da qui l’arresto che fece scalpore, nel 1980, e la sua permanenza in carcere che gli aprì un mondo di legami e di affetti dalla quale la scrittrice non seppe più fare a meno. Ma il gesto si connotò anche, come scrisse il regista Citto Maselli, suo compagno per quasi vent’anni, a una trasgressione che riportava allo “scandaglio virulento dell’oscuro e del peggio che è in noi, in rapporto con l’ambiguità della ragione”. Martone coglie bene questa dinamica profonda che viene svolta anche dai personaggi a latere, Roberta e Barbara (ma anche dal coro greci delle vere detenute), di cui sappiamo poco e che spariscono a un certo punto proprio perché nella vita di Goliarda ci sono stati pochi punti fermi, tra cui il marito Angelo Pellegrino, vestale del suo successo postumo.

“Fuori” è un film rapsodico, nel senso poetico ed epico del termine, e circolare: il girovagare di Goliarda esprime la sua irrequietezza esistenziale e Martone, che conferma la sua grande bravura nella direzione attoriale, da uomo di teatro, dà un senso fondamentale anche alle riprese in esterno, disegnando una Roma anni Ottanta fedele e viva, a livello dei suoi film migliori e più belli. (Michele Gottardi)

Voto: 7.5

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