Ritrovato il primo testamento del Canova
Redatto nel 1799, prima del ritorno a Roma era rimasto chiuso in una cartella. È solo una bozza ma contiene già tutte le scelte fatte a favore della comunità. Tra le sue disposizioni una scuola destinata ai meno abbienti, doti a ragazze povere, una scuola d’arte e la biblioteca artistica

“Mi non odio nisun”. Con queste parole, pronunciate nella sua parlata natale, nel 1798 Antonio Canova lasciò la Roma dove viveva già da una ventina d’anni, dopo che gli occupanti francesi vi avevano instaurato la Repubblica, e lo invitarono a far parte dell’Institut National.
Ma poiché la formula d’insediamento gli richiedeva di giurare odio ai sovrani, con un’asciuttezza tutta “montanara” e la risolutezza di chi sa far parlare il marmo, preferì ritirarsi a Possagno, nella casa di famiglia lungo la strada principale del paese, oggi parte del complesso museale che porta il suo nome.
Proprio lì, 23 luglio, è stato presentato il ritrovamento del primo testamento dell’artista, redatto nel 1799 prima del ritorno a Roma, del quale fino a pochi mesi fa si ignorava l’esistenza. A riportarlo alla luce è stato Marcello Cavarzan, studioso e già amministratore locale, nel corso di ricerche d’altro genere condotte nell’Archivio parrocchiale di Possagno.
Un ritrovamento fortuito, avvenuto all’interno di una cartella finora inesplorata, ma subito riconosciuto per il suo valore da uno dei tanti possagnesi che, da generazioni, coltivano con rigore e passione la memoria dell’artista.
La presentazione
La presentazione, che precede la pubblicazione del documento a cura di Cavarzan insieme a Giancarlo Cunial e Alberto Susin, che avverrà dopo il nulla osta dell’Ufficio Beni Culturali della Curia di Treviso, ha coinvolto i rappresentanti delle principali istituzioni del paese: per il Comune il sindaco Valerio Favero, per la Fondazione Canova il presidente Massimo Zanetti, per il Museo Gypsotheca la direttrice Moira Mascotto, per la Parrocchia della SS. Trinità don Giuseppe Francescon, per l’Opera Dotazione del Tempio Canoviano la presidente Vania Cunial.
Un gesto collettivo che non rivendica paternità, ma riafferma il senso condiviso di una custodia: perché a Possagno la salvaguardia del patrimonio canoviano è un’opera quotidiana, diffusa, radicata nella comunità.
Il valore del ritrovamento
Nel corso dell’incontro i relatori hanno ricostruito le circostanze del ritrovamento, il contesto storico, le peculiarità del documento e il significato che oggi assume nella biografia e nella visione civile dell’uomo Canova.
Sottolineando anche che non si tratta di un atto formale (è, tecnicamente, una bozza di testamento) né definitivo, poiché sono già noti altri cinque successivi testamenti. Ma è la prima testimonianza chiara della volontà dell’artista, allora quarantaduenne, di dare un senso compiuto, comunitario, al proprio patrimonio.

Dispone, infatti, l’istituzione, nella sua casa di Possagno, di una biblioteca artistica e di una raccolta di gessi destinata all’esercizio del disegno – un’idea embrionale della Gypsotheca – e di una scuola d’arte da collocare nella Torretta che aveva fatto costruire durante quel soggiorno.
Stabilisce poi i lasciti per la famiglia, ma destina la parte più consistente del patrimonio alla Comunità, per garantire la gestione della scuola. E, non da ultimo, prevede l’assegnazione annuale di tre doti a ragazze povere del paese.
«Canova, che mai si sposò né ebbe figli, già allora pensava a come restituire alla sua comunità la fortuna realizzata grazie alla sua arte», ha sottolineato Marcello Cavarzan. «E per farlo si affida a Tiberio Roberti, notaio di fiducia e autore materiale della bozza testamentaria».
Il bene della comunità
Un’intenzione, quella di legare il proprio lascito al bene collettivo, sulla quale non tornerà mai indietro. «Il giorno prima di morire», ha ricordato Moira Mascotto, «affidò al fratello Giovanni Battista Sartori il compito di portare a compimento “senza il minimo risparmio” il progetto del Tempio di Possagno. E fu Sartori, di cui quest’anno ricorrono i 250 anni dalla nascita, a tradurre in realtà quell’eredità spirituale: riportò da Roma i beni dello studio canoviano, fondò un museo che custodisce la sua memoria, e contribuì alla nascita del Collegio Canova, affidato ai padri Cavanis, che continua a formare centinaia di giovani. Grazie a Sartori le visioni di Canova sono ancora oggi la spina dorsale della nostra vita culturale e sociale».
Giancarlo Cunial ha rimarcato il valore etico e moderno di quelle scelte: «La prima povertà che Canova volle affrontare fu quella femminile: tre doti a ragazze povere, – che Sartori portò a sei – che ne sarebbero rimaste titolari anche dopo il matrimonio. Un’idea di emancipazione in anticipo sui tempi. E poi la scuola, pensata per i meno abbienti. Non si trattava solo di povertà materiale, ma anche morale e familiare». In quelle disposizioni, ha concluso Cunial «si legge un principio semplice e profondo: quando hai sistemato la tua famiglia, quel che resta deve servire agli altri» E nel suo caso, ciò che restava era, ed è, moltissimo.
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