Battaglia sull’Isonzo: ambientato in Fvg l’ultimo romanzo di Matteo Strukul

Un estratto del libro “La congiura delle vipere” dello scrittore padovano: veleni, spie, intrighi e pirati. Mercoledì 26 novembre la presentazione alle Librerie Coop di Udine

La redazione
Lo scrittore Matteo Strukul presenterà a Udine il suo ultimo romanzo (foto Marco Bergamaschi)
Lo scrittore Matteo Strukul presenterà a Udine il suo ultimo romanzo (foto Marco Bergamaschi)

Tra veleni, intrighi, spie e pirati, Venezia è sotto attacco. Una misteriosa figura farà di tutto per difenderla, ma chi si cela dietro la sua maschera? Matteo Strukul, autore della fortunata saga bestseller I Medici, ha portato in libreria La congiura delle vipere (pubblicato da Newton Compton). Il nuovo romanzo sarà presentato mercoledì 26novembre, alle 18, alle Librerie Coop di Udine, in dialogo con Nicholas Delli Zotti. Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, un brano del libro ambientato in Friuli Venezia Giulia.

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Matteo Strukul

«L’Isonzo», esclamò l’attendente. «I cappelletti di Camillo Trevigliano l’hanno oltrepassato, cogliendo di sorpresa i valloni sotto le mura di Gorizia, ma sono stati poi respinti dagli uomini di Baltasar Marradas che li sta ricacciando al di qua del fiume, dopo essersi unito agli squadroni del generale Trautmannsdorf».

«Dobbiamo intervenire subito!», ordinò Pompeo Giustiniani, ben comprendendo la gravità della situazione. «Ornano, Pierre, con me! Baglioni, Savorgnan: mettete i vostri uomini di conserva».

E così, senza aggiungere altro, Jacques Pierre si ritrovò a cavallo, al seguito del capitano generale, diretto verso i bastioni prospicienti l’Isonzo. La disgrazia in cui era caduto il povero Giustiniani in qualche modo lo angustiava. Avrebbe voluto fare qualcosa, un po’ perché provava per lui una naturale simpatia e un po’ perché gli faceva pena per via di quel braccio di ferro che lo rendeva ancora più mostruoso pur nella sua marziale, terribile fama. Così, in quel mattino piovoso, eccolo ad accompagnarlo verso le linee di difesa più avanzate, insieme ad alcuni dei suoi pretoriani, a cominciare dal colonnello dei corsi Pietro Paolo Ornano.

Erano poco più di un drappello, una dozzina d’uomini che procedevano sotto la pioggia fitta, intabarrati nei loro mantelli, con i cappelli calcati sulla testa, le pistole cariche, ben protette dalle grandi gocce d’acqua, e le spade lucenti al fianco. La volta continuava a finire squarciata da fulmini simili a vene d’argento, che si aprivano d’improvviso nella grande tela grigia del cielo. Il fragore dei tuoni pareva voler imitare il rombo dei cannoni e, mentre tentava di non affogare in quella sorta di acquitrino che erano ormai le trincee e i terrapieni presso l’Isonzo, Jacques Pierre si domandava cosa diavolo fosse andato a fare quel mattino nella tenda del capitano generale, quando avrebbe ben potuto accampare una scusa, magari di malattia, per rimanersene in branda al caldo della coperta.

Erano ormai in vista dell’avamposto. Vi regnava l’inferno. I veneziani stavano rispondendo all’attacco improvviso degli uomini di Trautmannsdorf, i quali si erano aperti un varco lungo la linea di difesa del terrapieno e ora stavano dilagando in un flusso ininterrotto, devastando le posizioni protette da Schiavoni e Stradiotti che facevano del loro meglio per rintuzzare l’attacco a sorpresa. Lo scontro si consumava su un terreno infido per via del fango che pareva avvolgere l’intera scena, reso tanto più traditore dalla pioggia battente che bagnava le polveri e portava il confronto all’arma bianca, privilegiando la cavalleria austriaca che caricava con le sciabole, schiantando i fanti avversari.

Quella vista accecò Pompeo Giustiniani il quale, estratta una pistola che aveva opportunamente tenuto all’asciutto in arcione, non esitò a fare fuoco. Una nuvola azzurrina riempì l’aria grigia d’acqua e la palla si piantò nel petto di un cavaliere avversario, proiettandolo all’indietro. Per una qualche ragione, però, gli rimase impigliato il piede nella staffa e il destriero continuò la sua folle corsa, trascinandolo nella mota chissà dove. Giustiniani e i suoi corsi, intanto, erano già nel cuore della battaglia e, sfoderate le spade, stavano contrattaccando bravamente. Vedendo quella loro veemenza, anche gli Schiavoni e i Cappelletti presero a esplodere archibugiate, mandando a ruzzolare nel fango più di qualche austriaco. L’esito della battaglia stava cambiando.

Jacques Pierre scaricò a sua volta la pistola, ferendo a morte un cavaliere austriaco. Evitò un fendente di sciabola quasi per miracolo, udendo la lama sibilare a meno di un palmo da lui, e provò un dolore atroce quando una palla di piombo, sparata da uno dei moschettieri di Trautmannsdorf, lo raggiunse alla coscia. Strinse i denti. Caricò, sfoderando la schiavona e passando da parte a parte un nemico.

Nel frattempo, attorno a lui, fischiavano le palle di piombo, le urla dei morenti squarciavano l’aria, i nitriti furiosi dei cavalli facevano venire la pelle d’oca, tanto più quando Jacques osservò fra le righe di pioggia uno dei palafreni, con il ventre lacerato, accasciarsi al suolo e il suo cavaliere finire impalato su una picca. La pugna era una vera e propria bolgia nella quale erano saltate gerarchie e tattiche di sorta. Era una guerra sporca e disperata, e in quel momento, più che mai, si rese conto dell’inutilità delle parole di uomini come Savorgnan e Baglioni.

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