L’astrofisico Fabio Peri: «Vita su altri pianeti? Possibile, il problema è la comunicazione»

Lo scienziato ospite al Malnisio Science Festival. «Mi emoziono ancora ogni volta che guardo il cielo»

Paola Dalle Molle
L’astrofisico Fabio Peri sarà ospite al Malnisio Science Festival
L’astrofisico Fabio Peri sarà ospite al Malnisio Science Festival

Appassionato del cielo e custode delle stelle, Fabio Peri, è uno dei più stimati e importanti astrofisici italiani, capace di trasmettere l’incanto del cosmo. Da anni conservatore del Civico Planetario Ulrico Hoepli di Milano, Peri sa trasformare l’osservazione astronomica in un’esperienza culturale che unisce scienza, musica e arte.

Infatti, la sua formazione scientifica si intreccia con una competenza musicale (è diplomato in pianoforte in Conservatorio) che emerge spesso in alcuni suoi progetti. In un’epoca in cui la scienza rischia di diventare un linguaggio per pochi, Peri ricostruisce un ponte con la conoscenza, ricordandoci allo stesso tempo, che guardare il cielo non è solo studio ma racconta la complessità del pensiero umano.

A spiegarlo sarà lo stesso astrofisico ospite di R(Evolution), il Malnisio Science Festival, in programma fino al 24 alla Centrale idroelettrica A. Pitter di Malnisio, sabato alle 15.45, con l’incontro “Vita da Star! Nascita, vita e morte delle stelle” e domenica alle 15, per “L’attrazione fatale della gravità. La R(Evolution) di Einstein”.

Le è sempre piaciuto lo studio del cielo?

«No, in realtà, da studente mi piacevano matematica, biologia e chimica, ma astronomia non si studia alle elementari o alle medie. Al liceo un mio amico aveva un telescopio, così ho cominciato a conoscere il cielo, andando anche qualche volta al planetario, dove poi sarei finito a lavorare. La vera scoperta è stata all’università: lì mi sono appassionato alla cosmologia, ai buchi neri, alla nascita delle stelle»

Ha continuato a studiare la musica insieme alla carriera scientifica?

«Sì, ho studiato pianoforte fino al diploma in Conservatorio. Musica e fisica sembrano discipline diverse, ma sono molto simili: entrambe richiedono disciplina, esercizio costante e dedizione. In entrambe bisogna capire le regole e trovare il proprio modo di esprimersi, che sia nello spartito o nella ricerca scientifica».

Qual è la sfida maggiore quando si spiega l’astrofisica a un pubblico non specializzato?

«Essere semplici e corretti ma senza semplificare troppo. E bisogna anche appassionare».

La musica ha ancora un ruolo nella sua vita?

«Continuo a suonare, anche se non più a livello professionale. Non ho tempo per lunghe ore di pratica, ma mi piace integrare la musica negli spettacoli del Planetario, creando colonne sonore e intrecci tra musica e astronomia».

Esiste la possibilità di vita intelligente oltre la Terra?

«La possibilità esiste, perché l’universo è enorme. Abbiamo già trovato oltre 6.000 pianeti extrasolari, alcuni simili alla Terra. Tuttavia, comunicare con altre civiltà è complicato: le distanze sono enormi, la radio la usiamo da poco tempo e loro potrebbero non avere lo stesso strumento o la stessa epoca tecnologica. Quindi, possibilità di qualche forma di vita sì, la possibilità di comunicare è molto più difficile».

Cosa auspica per il futuro dell’astronomia nei prossimi 50 anni?

«Mi piacerebbe scoprire cosa sia l’energia oscura o la materia oscura, che costituiscono circa il 95% dell’universo. Sarebbe un grande passo avanti nella comprensione dell’universo stesso. Inoltre, sarebbe straordinario riuscire a conciliare la teoria della Relatività con la meccanica quantistica, la cosiddetta “teoria del tutto”».

Ci sono pericoli provenienti dall’universo per la Terra?

«Per il pianeta in sé, il vero pericolo è il Sole: sappiamo che tra 5 miliardi di anni si espanderà e ingloberà la Terra. Asteroidi grandi possono colpire la Terra circa ogni 100 milioni di anni, causando estinzioni, ma la vita continua sempre a sopravvivere cambiando forma. Il problema più immediato è quello che l’uomo stesso sta creando, come il cambiamento climatico».

Ci sono momenti in cui, guardando il cielo, si emoziona ancora?

«Sempre. Mi emoziono anche quando accendo le stelle finte al Planetario. Il cielo stellato è meraviglioso. Guardare in alto non significa solo osservare il cielo, ma alzare lo sguardo oltre le difficoltà quotidiane, oltre le miserie del mondo». 

Riproduzione riservata © il Nord Est